Yara Gambirasio, tutte le piste prima di Bossetti: veggenti, sogni, camionisti

di Redazione Blitz
Pubblicato il 23 Febbraio 2015 - 13:27 OLTRE 6 MESI FA
Massimo Giuseppe Bossetti (foto Ansa)

Massimo Giuseppe Bossetti (foto Ansa)

BERGAMO – Prima dell’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti gli investigatori che lavoravano sul caso dell’omicidio di Yara Gambirasio non tralasciarono nessuna pista seguendo anche improbabili interpretazioni dei sogni, deliri dei veggenti e anche strani comportamenti. È l’Eco di Bergamo a elencare tutte le piste più strane seguite dagli investigatori.

Nel dicembre del 2010, un mese dopo la scomparsa di Yara, sul tavolo degli investigatori arriva una segnalazione della stradale di Bergamo. Dopo un incidente mortale la stradale segnala “lo strano comportamento di tale G. G., che in sede di verbalizzazione poneva insistente interesse alla vicenda della scomparsa della ragazzina di nome Yara, senza porre invece la dovuta attenzione all’incidente mortale da lui provocato”. L’uomo, un camionista, finisce così nel lungo elenco dei sospettati per poi uscirne poco dopo.

Sotto la lente degli investigatori soprattutto gli operai che lavoravano dei dintorni del cantiere di Mapello: “Il guardiano diurno del cantiere, tale A. N., che lavorava dalle 6 alle 18, aveva riferito che di notte vi erano molti operai di varie nazionalità che entravano e uscivano – annota il Ros di Brescia –. In merito a queste persone riferiva di aver paura di loro in quanto facevano le gettate di cemento e, in attesa che asciugasse, giravano per i bar dei paesi limitrofi, tornando spesso ubriachi”.

L’articolo dell’Eco di Bergamo: Versioni contrastanti. Il cantiere di Mapello, quello a cui aveva condotto il fiuto dei cani molecolari, è stato per parecchio tempo il fulcro geografico dell’indagine. È qui che si cercherà all’inizio il colpevole, è da qui che esce Fikri (…) Benozzo aveva dichiarato – scrivono gli investigatori – che al ritorno in cantiere alle 20 «aveva notato un particolare insolito e cioè di essersi accorto che il custode F. A., “che io ho sempre visto dentro il suo gabbiotto, era insolitamente vicino al cancello, all’esterno, e ci ha aperto subito. Ho ritenuto insolito questo atteggiamento perché costui non l’ho mai visto all’esterno del gabbiotto, anzi ho sempre visto che dorme sovente durante i turni”».

F. A., si legge nell’informativa, «aveva invece affermato di aver notato le luci proiettate da un veicolo, per cui usciva ad aprire il cancello per consentire l’accesso». Gli inquirenti colgono «un’evidente contraddizione fra le dichiarazioni» e individuano il motivo da una conversazione tra il custode A. N. e uno sconosciuto captata nella guardiola. «Il tenore del dialogo – scrivono i Ros – lasciava intendere come A. N. non si dia pace per il fatto che il collega F. A. non abbia riferito agli inquirenti che la sera del 26 novembre 2010 si sarebbe allontanato dal posto di lavoro per recarsi, in sua compagnia, presso un bar della zona a prendere un caffè, per cui non sarebbe stato presente sul luogo di lavoro in momenti potenzialmente importanti».

I vantaggi reciproci. Per chi indaga c’è stato un tentativo di «far combaciare le versioni». «In teoria – concludono i carabinieri – entrambe le parti avrebbero tratto giovamento dal supposto fraudolento accordo: F. A. in quanto avrebbe testimoni della regolare esecuzione del suo turno di servizio, evitando sanzioni disciplinari; Benozzo e Fikri per la necessità di collocarsi nel cantiere in determinati orari (va detto che questi ultimi due sono stati scagionati anche da altre testimonianze, ndr)».