La storia di Alberto Livoni, l’italiano che da giorni si trova in carcere in Etiopia senza nessuna accusa: sta bene e ci sono contatti per ottenerne la scarcerazione. Alberto Livoni, operatore umanitario emiliano. è finito nelle reti della caccia a ogni possibile “quinta colonna” del temuto assedio tigrino di Addis Abeba. Livoni, in carcere da sabato in un commissariato della capitale etiope, viene definito “in buona salute” ed è confortato da visite delle autorità consolari italiane concesse ogni giorno e non solo ogni due come di regola.
La storia di Alberto Livoni in Etiopia
Il 65enne è Coordinatore per l’Etiopia del “Vis” (Volontariato internazionale per lo sviluppo). Una ong che affianca i salesiani in progetti di scolarizzazione e formazione professionale di giovani. E’ molto attiva nel nord del Tigrè. Ed è la regione da un anno epicentro della guerra civile ingaggiata dal premier, e paradossalmente premio Nobel per la pace 2019, Abiy Ahmed, che si era azzardato a ridimensionare il peso politico dei bellicosi tigrini, per un quarto di secolo al potere in Etiopia nonostante siano minoritari (5%) nel ginepraio della novantina di etnie etiopi.
In carcere senza nessuna accusa
Il fermo di Livoni compiuto da forze di sicurezza nella sua abitazione ad Addis Abeba. Dopo un’irruzione e assieme a lui sono stati fermati due operatori dello staff locale del Vis. Le autorità etiopi vogliono accertare perché il dirigente italiano avrebbe ceduto circa 20 mila dollari a una persona. Anche se non c’è alcuna accusa, gli inquirenti etiopi sospettano che i fondi siano serviti ad aiutare i miliziani del Fronte popolare di liberazione del Tigrè (Fplt). Miliziani lanciati ora alla conquista della capitale, e non solo profughi. Le sorti del conflitto sono passate dalla vittoria-lampo proclamata da Abiy un anno fa agli annunci tigrini della conquista di città. Il governo ha proclamato lo Stato di emergenza. Un provvedimento che sospende le normali regole e con esse quella che limitava a 72 ore i fermi.