Ancora migliaia di turisti bloccati in Ladakh sotto alluvione, a 3000 metri in India

Pubblicato il 8 Agosto 2010 - 08:48 OLTRE 6 MESI FA

Mentre l’unità di crisi del Ministero degli Esteri invita, con burocratica tempestività, gli italiani a non andare in Ladakh, continua a piovere sulla zona devastata dall’alluvione mentre esercito indiano, polizia e volontari sono impegnati nelle azioni di soccorso.

Le ultime notizie disponibili sul bilancio della sciagura parlano di 140 morti, 400 feriti 600 dispersi. I turisti bloccati nell’area sono tra quattro e cinque mila, compresa una quarantina di italiani, tutti rintracciati e incolumi. ”Nessuno di loro risulta tra le vittime o i dispersi”, ha assicurato l’ispettore generale della polizia Farooq Ahmad, che coordina le operazioni di soccorso. La maggior parte sono negli alberghi di Leh in attesa di trovare un posto su un aereo per abbandonare la zona, ma diversi sono intrappolati lungo la strada che ”sale” da Manali, in Himachal Pradesh. Molti turisti infatti approfittano del clima mite per fare trekking in queste bellissime montagne, a volte anche in condizioni precarie.

Nella lista di morti e dispersi ci sono anche molti militari indiani, perché Leh, capitale del Ladakh, è sede di un importante concentramento di uomini e mezzi dell’esercito indiano, essendo zona di confine. Da Leh, che è a circa 3000 metri sul livello del mare, ci si inerpica verso i passi che, a oltre 4 mila metri, portano alla Cina.

L’alluvione è stata causata da piogge intense che hanno avuto inizio intorno alla mezzanotte di giovedì. In questa parte del mondo siamo nella stagione dei monsoni, i grandi venti che portano l’acqua tanto necessaria per la vita ma anche, spesso, provocano conseguenze devastanti: letteratura e cinema offrono rilevanti racconti.

Gli aiuti arrivano a Leh per via aerea, perché la strada, abbastanza buona, che si arrampica fino a Leh dalla pianura, è interrotta più punti da frane e fango. La statale, che si snoda per oltre 400 chilometri attraverso passi montani di 5 mila metri, è bloccata in più punti per smottamenti. L’esercito è al lavoro per aprire dei varchi, ma ci vorranno molti giorni.

Invece è ritornato in funzione l’aeroporto che era inagibile per via della pista di atterraggio allagata. Fin da sabato pomeriggio sono arrivati i primi sei aerei dell’aviazione militare con aiuti di emergenza, tende, generatori e ospedali da campo. Sono ripresi anche alcuni collegamenti di compagnie aeree private verso New Delhi. Da domenica Air India e Jet Airways hanno previsto voli straordinari.

Cinque villaggi di povere case di pietra e legno sulle montagne intorno a Leh sono stati letteralmente spianati, tra cui quello di Choglamsar, a sud di Leh verso la valle dell’Indo e quello di Shey, la capitale estiva degli ex re del Ladakh.

Molta gente è rimasta intrappolata nelle macerie e i soccorritori hanno trovato difficoltà a liberarli. Molte centinaia di persone hanno dormito all’addiaccio. Anche se si trovano a oltre 3000 metri non fa freddo in questa stagione perché si trovano in zona tropicale.

Nella disgrazia, un fatto positivo è rappresentato dalla forte presenza di militari e poliziotti nella zona. Questa terra brulla, dove ci sono più monasteri che persone, è stata negli anni ’50 teatro di scontri tra cinesi e indiani e ancor oggi, tra i turisti che si aggirano per queste valli con grande emozione, si alternano lunghe colonne di mezzi militari in viaggio verso il confine.

La zona è molto povera, piccola agricoltura, pastorizia: non sanno nemmeno fare il formaggio come lo conosciamo noi, ma solo un concentrato che sciolgono nella minestra nelle lunghe e fredde notti invernali. Poche le strutture turistiche.

Incorporata nel Kashmir indiano dopo essere stata regno indipendente con un suo maharaja, la regione del Ladak è anche terra di fermento religioso, per l’intolleranza reciproca fra la religione dominante, buddista, e quella dell’occupante India, col risultato che ogni tanto si verificano esplosioni di rivolta da parte dei numerosi monaci, con scontri anche feroci.

Una giornalista italiana, Pratrizia Caiffa, che si trova in vacanza a Leh, ha raccontato all’agenzia Ansa, che l’ha intervistata via telefono, di un vero e proprio ”finimondo”: “Non ho mai visto temporali così. E anche qui mi hanno detto che non succede mai. La città vecchia di Leh è stata sommersa dal fango e sono cadute pietre. Ho visto case distrutte come quelle dopo il terremoto di Haiti. La gente scava con le mani nel fango per tirare fuori i corpi”.

Racconta l’italiana: ”La situazione è drammatica. Come me, ci sono migliaia di turisti, tra cui parecchi italiani, bloccati. Siamo isolati, non si riesce a telefonare né a connettersi a internet. Le linee fisse non funzionano e non c’è l’elettricità.Tra gli italiani c’è un po’ di agitazione perché non si riesce a contattare le famiglie”.

Questo è il pensiero dominante degli italiani:  ”Ora l’unica speranza è di riuscire a prendere al più presto un volo per Delhi e poi cambiare programma”.

La frase sembra rendere ovvio e superato l’invito del Ministero degli esteri, che sconsiglia di recarsi nel Ladakh fino alla normalizzazione della situazione e rinnova infine l’invito a chi disponesse di notizie su familiari presenti nella regione del Ladakh a segnalarle all’Unita’ di Crisi, telefonando allo 06 36225 o inviando un messaggio di posta elettronica all’indirizzo unita.crisi@esteri.it.