Assange dentro, Friki fuori: la giustizia smentisce la “piazza”

di Sergio Carli
Pubblicato il 7 Dicembre 2010 - 17:14 OLTRE 6 MESI FA

Assange, l’australiano a capo di Wikileaks, resta dentro, almeno fino al 14 dicembre, fino alla prossima udienza del Tribunale inglese. Friki, il marocchino del caso Yara è fuori, chiederà i danni per “ingiusta detenzione”. In entrambi i casi, lontani, siderlamente lontani per accuse, circostanze, fattispecie di possibili reati, la giustizia smentisce e contraddice la “piazza”. Piazza che vuole Assange libero ed eroe e voleva Fikri in galera e colpevole. In entrambi i casi l’istinto, l’opinione della gente, il processo e la sentenza “di piazza” vanno a sbattere, vanno a conflitto con il lavoro e il ruolo dei magistrati. Magistrati inglesi e italiani, due diverse culture giuridiche, ma identica è la smentita che la giustizia infligge alle aspettative della gente, gente “democratica” quella che tifa per Assange, gente “reazionaria” quella che subito ha diffidato e ha mostrato pollice verso a Friki. Gente che ha comunque sempre torto quando vuol farsi giudice e giustizia.

Nel caso Assange c’è un deficit di verità e un eccesso di ipocrisia, sia da parte di chi lo sostiene, sia da parte di chi si rallegra della sua detenzione. Assange è stato arrestato e resta dentro con un’accusa che molto, troppo somiglia ad un pretesto. Due donne lo accusano di aver avuto con loro, in momenti successivi, rapporti sessuali senza preservativo. La prima racconta niente meno che il preservativo c’era ma si ruppe durante il coito. Lì per lì la donna non disse nulla, poi ci ripensò e le parve di aver capito che Assange lo ruppe apposta quel preservativo. Di qui l’accusa, un delirio di femminismo a posteriori. La seconda donna invece lamenta davanti ai giudici l’assenza del preservativo. Se questo è “stupro”…Fin qui il deficit, abbondante, di verità che i sostenitori di Assange giustamente possono lamentare.

Ma c’è anche l’eccesso, intollerabile, di ipocrisia. Assange, tramite Wikileaks ha non solo diffuso documenti segreti, il che secondo la legge, ogni legge, è reato e non virtù. Reato al quale si può opporre la “suprema ragione” dello smascheramento del potere e delle sue trame. Suprema ragione che regge o almeno può essere messa in campo fino a che si tratta di svelare una trama, un inganno, una bugia, una menzogna. Ma quando si “svelano” i siti sensibili sottoposti a tutela in funzione della sicurezza nazionale e internazionale, quando lo “svelamento” è all’ingrosso e privo di ogni assunzione di responsabilità, quando “svelare” è solo manifestamente demolire, attaccare governi e istituzioni, soprattutto se non esclusivamente quelli delle democrazie parlamentari ignorando fatti e misfatti delle molte dittature sul pianeta, la “suprema ragione” non c’è più. Assange va processato con altra e plausibile imputazione: aver messo in pericolo e danneggiato la sicurezza di molti paesi e di molta gente. Processato, non necessariamente condannato. Ma per questo e solo per questo, non per aver dimenticato o sfondato un preservativo.

Nel caso di Friki c’è una giustizia che tutto sommato funziona. Funziona nonostante tutto. Nonostante una evidente, comprensibile ma evidente, “fretta” di trovare qualcosa e qualcuno responsabile della sparizione di una ragazzina di 13 anni. Nonostante la pressione indecorosa e talvolta indegna della stampa e della politica sulle indagini. Nonostante quella torma di cronisti giustamente denunciati dal parroco di Brembate: “Pretendono ad ogni costo che la gente dica loro qualcosa…”. Nonostante i Borghezio e i Salvini, solo loro per fortuna stavolta e non certo e non tutta la Lega. Nonostante la storia tragicomica dei sette, diconsi sette, consulenti e traduttori che si affannano intorno a una frase pronunciata al telefono. Una giustizia che, spinta suo malgrado da tutto questo su una strada sbagliata, sbaglia ma si corregge rapidamente. Deficit di misura ed eccesso di show nel caso Friki, ma ormai va sempre così.

Assange dentro, Friki fuori: a ricordare che la gente che grida “giustizia” è troppo spesso, quasi sempre quella che non vuole “giustizia” ma solo soddisfazione e timbro ai propri umori, miti, odi e passioni.