Attentato a Beirut, tensione tra Libano e Siria: ucciso il capo degli 007

Pubblicato il 20 Ottobre 2012 - 10:43 OLTRE 6 MESI FA

BEIRUT – Si fanno sempre più tesi i rapporti tra Siria e Libano dopo il pesante attentato di venerdì a Beirut. Otto le vittime accertate dopo che un’esplosione ha sventrato alcuni palazzi del quartiere cristiano di Beirut. E sul Libano si riaffacciano gli spettri delle peggiori violenze intestine della storia recente visto che l’attentato ha ucciso, insieme ad altre sette persone, il capo dell’Intelligence della polizia. Il generale Wissam al Hassan era impegnato in un’inchiesta su presunti attentati organizzati dalla Siria in Libano.

Mentre l’attacco veniva condannato immediatamente dal governo siriano e dal suo principale alleato in Libano, il movimento sciita Hezbollah, in tutto il Paese vi è stata un’improvvisa impennata della tensione, con manifestanti sunniti che hanno incendiato pneumatici bloccando diverse arterie stradali da Tripoli, nel nord, a Sidone, nel sud del Paese, oltre che nella Valle della Bekaa. A Tripoli vi sono anche stati scambi di armi da fuoco tra due quartieri, uno sunnita e l’altro alawita-sciita, tra miliziani oppositori e sostenitori del regime siriano del presidente Bashar al Assad.

L’ex premier sunnita Saad Hariri, figlio di Rafiq Hariri, anch’egli già primo ministro su posizioni anti-siriane ucciso in un attentato nel 2005, ha accusato Assad di essere il mandante dell’attacco. Il generale Hassan, tra l’altro, aveva collaborato all’inchiesta internazionale sull’uccisione di Rafiq Hariri che ha portato all’incriminazione da parte del Tribunale speciale dell’Onu per il Libano di quattro membri di Hezbollah. Il movimento sciita, forza dominante nell’attuale governo di Beirut, ha anch’esso condannato l’attentato, definendolo ”un tentativo di minare la stabilità”.

L’esplosione è avvenuta in Via Ibrahim Mounzer, una piccola strada a circa 200 metri da Piazza Sassin, cuore della Beirut cristiana e vicino al luogo di un altro attentato che 30 anni fa segnò uno dei momenti più drammatici della guerra civile. Fu qui infatti che il presidente eletto – ma non ancora insediato – Bashir Gemayel, fu ucciso nell’esplosione di una bomba il 14 settembre del 1982 mentre usciva da una riunione in una una sede del suo partito cristiano della Falange.

Mentre il presidente Michel Sleiman si riuniva con il primo ministro Najib Miqati e con i vertici degli apparati di sicurezza, l’attentato veniva condannato con forza dagli Usa, dalla Francia, dall’Italia e dal Vaticano. La Santa Sede lo ha definito un atto ”contrario agli sforzi e all’impegno per conservare una convivenza pacifica nel Libano”, sulla quale ha più volte insistito Papa Benedetto XVI durante la sua visita a Beirut il mese scorso.