Black Dahlia: dopo 70 anni un nuovo mistero sul più grande omicidio irrisolto d’America

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Ottobre 2017 - 11:30 OLTRE 6 MESI FA
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Black Dahlia: dopo 70 anni un nuovo mistero sul più grande omicidio irrisolto d’America

LOS ANGELES – Nuova ipotesi sul caso di Black Dahlia, il misterioso omicidio di Elizabeth Short, l’aspirante attrice che 70 anni fa, fu ritrovata con il corpo tagliato a metà e con un squarcio in bocca che ricordava il “sorriso di Joker”: il killer è stato finalmente smascherato, nonostante la “copertura del LAPD”, Los Angeles Police Department. Il cadavere della Short fu trovato accanto a un marciapiede, in un sobborgo di Los Angeles e il caso scioccò anche i più induriti reporter di cronaca nera.

La donna aveva i polsi legati, volto e testa picchiati duramente e un sorriso satanico provocato da un profondo taglio da un orecchio all’altro, noto come Glasgow smile (sorriso di Glasgow), uno sfregio rituale delle gang inglesi degli anni ’20. La 22enne era stata brutalmente mutilata, il corpo tagliato a metà, l’ano aveva delle abrasioni a causa dell’inserimento di un oggetto e, tra i molti altri orrori, lo stomaco era pieno di feci.

L’omicidio della Short è rimasto irrisolto per decenni, anche se alla fine del 1948 ci fu una pausa quando l’assassino ammise di conoscere due cose sul crimine che erano mai state rivelate pubblicamente. Ma il caso non è stato mai risolto dal LAPD a causa di una copertura della Divisione Omicidi e dei timori persistenti, per anni, di rappresaglie dal dipartimento.

Ora, 70 anni dopo, in seguito a un’esauriente indagine di Piu Eatwell, autore di un nuovo libro “Black Dahlia, Red Rose: Il crimine, la corruzione e l’insabbiamento del più grande omicidio irrisolto d’America”, emerge il motivo per cui non è mai uscita fuori la verità. L’omicidio della Short catturò l’attenzione della nazione, poiché le sue ferite “ipotizzavano la necrofilia e il feticismo per i coltelli”.

“Erano segni di un sadico lussurioso assassino … e si ipotizzava che avesse una formazione medica o un’esperienza di manipolazione di cadaveri, un fascino manifesto per la morte”, scrive Eatwell, storico e detective. Il corpo della giovane donna aveva molte lacerazioni profonde al viso e colpi alla testa che facevano pensare fossero stati inferti quando era ancora viva e che, probabilmente, furono la causa della morte. Il tronco era tagliato a metà, sul punto dell’intestino per cui gli organi dell’addome erano fuoriusciti, c’era un taglio profondo sopra il pube, lacerazioni sul punto dell’anca e un lembo di carne irregolare era stato rimosso sulla coscia sinistra.

Un lembo di tessuto epidermico era stato prelevato dal seno destro e l’ano presentava delle molteplici abrasioni per l’insetimento di un oggetto. Lo stomaco era pieno di feci e il cadavere completamente pulito e drenato dal sangue. Il caso diventò importante ma non c’era nessun sospetto per cui i detective indagarono sulla vita della vittima così da rintracciare il misterioso assassino.

Elizabeth Short, chiamata Beth, era la terza di cinque sorelle. Fu allevata dalla madre, Phoebe a Medford, Massachusetts, suo padre simulò il suicidio per poi ricomparire anni dopo. “Voleva essere famosa. Negli occhi aveva le star, sogni non progetti. Penso a lei come a una persona molto bella ma riservata, anche triste. Un vuoto, qualcosa che le mancava”, così la ricordava la madre.

Short soffriva di una grave malattia.

Soffriva di una malattia ai bronchi e si era spostata tra la Florida, Long Beach, Los Angeles e Chicago, alla ricerca di un clima migliore per la salute. Aveva lavorato come impiegata nell’Esercito USA Camp Cooke a Lompoc, in California, una piccola città a nord di Santa Barbara dove vinse un concorso “Cutie of the Week”, la bellezza della settimana. Il suo ex capo disse che “era una delle ragazze più belle che abbia mai visto e anche la più timida”.
Improvvisamente, dopo essere stata aggredita da un sergente nella base dell’esercito, lasciò il campo.

Nel 1943, ancora minorenne, fu arrestata per aver bevuto alcolici con dei militari in un ristorante di Santa Barbara.
Le impronte digitali depositate dalla polizia di Santa Barbara furono utili a identificare successivamente il cadavere.
La foto segnaletica mostrava una ragazza con i capelli corvini, uno sguardo che passava da parte a parte. “Nessuno pensava fosse così bella”, scrive Eatwell.

All’epoca, mentre stava aspettando il processo, la poliziotta locale Mary Unkefer, la portò nella sua abitazione. “Aveva i capelli più neri che avessi mai visto. Ho notato che era molto bella e pulita, ordinata”.  Aveva una rosa tatuata sulla gamba sinistra e Unkefer ricordò che le piaceva mostrarla quando si sedeva.

La Short fu rilasciata dal tribunale dei minori, la Unkefer la fece salire su un autobus con 10 dollari per il cibo e le bevande, per i sei giorni di viaggio verso Medford. Short rimase nell’East per due anni, poi si trasferì a Miami Beach dove lavorò come cameriera e conobbe un ufficiale dell’esercito. Dovevano sposarsi ma l’aereo si schiantò mentre sorvolava l’India. Ebbe altre relazioni e poi tornò a Los Angeles. La Short non era prostituta, ma non era un’ingenua.
“La vittima, al momento della morte, conosceva almeno 50 uomini e nei 60 giorni precedenti al decesso almeno 25 erano stati visti in sua compagnia”, secondo un report della polizia.

Uomini che prendeva in giro, stuzzicava, da cui scroccava posti per dormire, vestiti, denaro ma poi rifiutava di avere rapporti sessuali sostenendo di essere vergine, impegnata o sposata. Vedeva non meno di quattro uomini al giorno. “E così, l’immagine pubblica della vittima cominciava a cambiare: da quella di una bellezza violata in una “pazza delinquente, una tentatrice che si aggirava per le strade bagnate di pioggia come in un film noir di ambientazione urbana”.

L’industria cinematografica della California del Sud prometteva una vita dorata e stimolava parecchie donne a cercare fama e fortuna nei film, nel mondo di Hollywood. Altre rivelazioni sulla Short, arrivarono da un farmacista di Long Beach, dove era stata nell’estate del 1946. “Indossava un completo due pezzi che mostrava la pancia nuda e “cose nere di pizzo”.

“Era popolare con gli uomini che erano in zona e la chiamavano Black Dahlia”. Il nome era forse anche frutto di un giornalista in un momento in cui gli omicidi erano etichettati come floreali. Ma da ovunque arrivasse il soprannome, scatenò un’ossessione a livello nazionale. La realtà era che la Short cercava un marito, una casa e la felicità.
Si è impegnò con la persona sbagliata quando incontrò il 55enne danese Mark Hansen che diventò una ricca e potente figura di Hollywood.

Hansen arrivò a possedere più di una dozzina di cinema e fu proprietario del Florentine Gardens nell’ Hollywood Boulevard, in cui fece uno spettacolo una ragazzina che scatenò l’attrazione di Errol Flynn. Un casinò di gioco d’azzardo era nascosto nel Florentine Gardens. “Hansen ha lavorato in un territorio al confine tra attività legittime e le frange dela malavita”.

Quando tornava a casa, aveva un harem delle sue ragazze preferite. Nell’ottobre del 1946, la Short si presentò al portone di Hansen con la sua amica Ann Toth. Hansen la notò e si avvicinò, ma la Short dichiarò che era vergine. Dopo 10 giorni, ne ebbe abbastanza delle prese in giro e ordinò alle due di piantarla ed era anche stanco della fila infinita dei boyfriend della Short.

Hansen non poteva negare di conoscere la ragazza, il suo nome era sulla rubrica della Short. Il corpo della giovane fu scoperto una mattina sull’erba bagnata in un quartiere a sud di Los Angeles, e una stanza del motel Aster nel centro di LA fu trovata disseminata di sangue e feci umane: il luogo dove trovò la morte la Short. Circolavano voci che la ragazza fosse una pervertita, una lesbica.

Una scomoda verità.

Il folksinger Woody Guthrie, accusato dalle autorità di New York per aver inviato lettere oscene, nell’isteria generale fu considerato un sospetto fin quando non si scoprì che al momento dell’omicidio non era a Los Angeles. Oltre 500 squilibrati confessarono l’omicidio in cambio di un pasto gratuito e di un posto dove dormire. La grande svolta arrivò nel 1948 quando lo psichiatra del LAPD, Joseph Paul De River, ricevette una lettera dal killer dopo un articolo sulla rivista True Detective, scritto nel tentativo di attirare l’assassino fuori dalla tana.

“L’omicida vuole un riconoscimento del suo atto, deve vantarsi”, scrisse De River. La lettera, il cui indirizzo era una casella postale di Miami Beach, era firmata “Jack Sand”: dichiarava di aver frequentato qualcuno che corrispondeva al famigerato omicida. “Jack Sand” scriveva di essere stato in contatto con l’assassino a San Francisco per 2 mesi, che aveva un motivo per l’omicidio e “conosceva i personaggi coinvolti”. Offrì inoltre il suo aiuto per rintracciare il sospettato.

Tra De River e “Jack Sand” ci furono degli incontri a Las Vegas ma cambiarono location e si videro in un centro benessere di San Jacinto, a nord di Banning, in California, vicino Palm Springs. Due poliziotti della Gangster Squad, scortavano De River mentre parlava con Sand: si trattava infatti di Leslie Dillon, un vero killer collegato a una rete di prostituzione, un pappone e un galoppino di Mark Hansen.

Quando Hansen si stancò dei fidanzati della Short e di essere stato imbrogliato con il denaro, disse a Dillon di liberarsene, non rendendosi conto che fosse un pericoloso e psicopatico assassino. Dillon sapeva due cose sull’omicidio che non erano mai stato rivelate pubblicamente: dalla coscia della Short era stato prelevato il tatuaggio con una rosa e inserito nella vagina; i peli pubici tagliati e infilati nel retto. Dillon aveva lavorato per breve tempo in un obitorio e sapeva come incidere la vena di una gamba, inserire un tubo per dissanguare un cadavere.

L’uomo parlò di un certo “Jeff Connors” come probabile sospetto dell’omicidio. Dillon ipotizzò che il corpo della Short fosse stato tagliato a metà affinché l’assassino potesse vedere fin dove arrivava il suo pene mentre penetrava la giovane donna. Concluse che “Jeff Connors” avrebbe potuto commettere il delitto in un motel al piano terra così da trasportare facilmente il cadavere. De River chiese a Dillon di togliersi la camicia. Acconsentì e lo psichiatra vide che aveva una corporatura molto muscolosa.

Chiese allora a Dillon di togliersi i pantaloni: l’uomo esitò un istante, poi li tirò giù mostrando un “pene da ragazzino… tipico di un bambino di otto anni”. In una delle lettere scritte allo psichiatra, Dillon aveva sostenuto che il killer della Short era stato deriso o minacciato dopo aver mostrato il pene agli amici. L’autore s’interroga sul fatto che la Short potrebbe aver deriso Dillon per il pene piccolo. E Dillon dichiarò inoltre che gli piacevano le ragazze con la “bocca grande”.

Non beveva, ma aveva fatto uso di droghe, pasticche o Benzedrine per aumentare l’energia. Dillon spiegò a un poliziotto della gangster squad come avrebbe frantumato il fenorbital e messo sul gelato o nel cibo da offrire alle donne per “mandarle al tappeto”. De River sapeva di aver trovato il killer. “Eppure, nonostante le convincenti prove, gli ufficiali della gangster squad, non sembravano andare avanti con l’indagine, il percorso era sempre ostacolato”, scrive Eatwell.

Dopo anni la svolta ma…

L’estate del 1949, “il LAPD fu coinvolto nel più grande scandalo di corruzione della sua storia: uno scandalo che doveva cambiare il dipartimento di polizia e il corso del caso Dahlia per sempre”. Secondo Eatwell, si trattava di una massiccia copertura della Divisione Omicidi che aveva collegamenti con Hansen. Il LAPD era marcio fino al midollo e “lasciò in circolazione un pericoloso psicopatico”.

In un interrogatorio sull’omicidio, Dillon disse loro che se lo avessero lasciato andare non avrebbe detto una parola ma se arrestato, avrebbe parlato e “sapeva dove erano sepolti i corpi di quelli uccisi dalla criminalità organizzata”. Poi scomparve.

Tutti i protagonisti chiave del caso Dahlia sono morti. La maggior parte dei documenti sono spariti o bloccati negli archivi del LAPD. Dopo l’indagine del gran jury del 1949, c’era stata chiaramente un’intenzionale campagna per insabbiare il caso e per screditare e vessare testimoni importanti come De River”, scrive l’autore. E scrittori e ricercatori erano riluttanti a raccontare la realtà dei fatti. “I fatti sepolti nei giornali e nei documenti giudiziari, sono più convincenti di elementi alternativi”. Dillon era il fulcro del dramma Dahlia e l‘incarnazione del male in un ragazzo che arrivava dalle pianure del Sud.