Bob Dylan si autocensura in Cina e il New York Times striglia il menestrello

Pubblicato il 11 Aprile 2011 - 18:16 OLTRE 6 MESI FA

Bob Dylan

PECHINO – “I tempi stanno cambiando” si potrebbe dire parafrasando una delle più note canzoni di Bob Dylan. I tempi stanno cambiando se è vero che il menestrello dei movimenti di protesta americani degli anni 60 ha deciso di autocensurarsi nella sua tournée in Cina, scegliendo di togliere dalla scaletta dei suoi concerti proprio gli inni di libertà che hanno fatto di Robert Allen Zimmerman una star come Bob Dylan. La cosa non è passata inosservata: Maureen Dowd, una delle più note e taglienti opinioniste Usa, ha attaccato le scelte di Dylan dalle colonne del New York Times.

Per la Dowd è “peggio di Beyoncè, Mariah Carey e Usher quando incassano milioni per cantare di fronte alla famiglia di Muammar Gheddafi, il dittatore libico”.

”L’aspro menestrello degli inni alla libertà degli anni Sessanta se ne va in una dittatura senza cantare questi inni”, continua la critica del Nyt. In effetti The times they are a-changin’, una delle canzoni più famose (di cui sopra), non è stata messa in repertorio.

Con una punta di veleno in penna la columnist americana titola la sua rubrica cambiando significativamente il nome di un’altra canzone di battaglia di Dylan: “Blowin’ in the Idiot Wind”.

Tutto questo astio nei confronti del rauco cantautore è dovuto al fatto che, né a Pechino né a Shangai, due pezzi così famosi sono stati cantati e nemmeno pensati in un’eventuale scaletta. Dylan non ha fatto altro che attenersi all’esplicita richiesta delle autorità di non mettere grilli per la testa a giovani e anche più attempati fan.

Secondo la Dowd, nessuna delle due canzoni ”sarebbe stata una adeguata colonna sonora per i duemila apparatchik cinesi che si trovavano tra il pubblico per una pausa di relax dopo la repressione”. Poi arriva anche il momento dell’attacco alla Cina sulla questione dei diritti umani: mentre il Medio Oriente e il Nord Africa si sta facendo attraversare da spinte democratiche, il dragone cinese continua imperterrito ad attaccare dissidenti, scrittori, artisti e chiunque esca dalle righe.

Tra loro, ricorda la Dowd, c’è anche Ai Weiwei, l’architetto dello Stadio Olimpico. ”L’uomo che le autorità hanno accusato per qualcosa che non ha fatto”, come recita una canzone dello stesso Dylan, Hurricane. Infine la columnist si prende la briga di suggerire a Bob Dylan di rileggere qualche passaggio delle vecchie canzoni che scriveva, come questo: ”Penso capirete/ Quando la morte chiederà il suo conto/  tutti i soldi che avrete guadagnato/ non potranno mai riacquistare la vostra anima”.