PECHINO – Gli organismi ufficiali dello stato hanno annunciato 19 gennaio 2011 che per la prima volta nella storia la maggior parte dei cinesi vivono in aree urbane e non in campagna. Secondo i dati rilasciati dall’Ufficio nazionale delle statistiche il 51,27% della popolazione, 690.8 milioni di persone su 1.35 miliardi, sono ormai urbanizzati. Si tratta di una tappa fondamentale nella storia del Paese più popoloso del mondo, un punto di non ritorno carico di conseguenze economiche e politiche solo in parte prevedibili.
Nel 1949, quando il partito comunista prese il potere, solo il 10% della popolazione abitava nelle città. Nel 1979, quando cominciarono le riforme del mercato di Deng Xiaoping, gli abitanti erano il 19%. Questi dati grezzi dicono che la Cina ha compiuto in sole tre decadi un processo che in Inghilterra è durato duecento anni, negli Stati Uniti cento e in Giappone cinquanta. L’impetuoso sviluppo economico ed industriale della storia recente ha spinto milioni di uomini e donne ad abbandonare i loro villaggi per recarsi nelle città.
Uno dei punti nevralgici di questa gigantesca migrazione interna è stato il Delta del Fiume delle Perle, una delle zone più industrializzate e densamente popolate del mondo, sede di città smisurate come Canton, Shenzhen, Hong Kong. E’ verso queste città che una moltitudine di contadini è partita, attratta da una domanda di lavoro inesauribile e dal richiamo di salari più elevati.
Con delle masse urbanizzate, più ricche e istruite, i consumi interni aumentano, diventano più diversificati ed esigenti. La Cina, che ha basato la sua ricchezza su una riserva infinita di forza lavoro a basso costo e sulle esportazioni estere, dovrà allora rivedere il proprio modello economico. Secondo alcuni analisti, l’urbanizzazione della Cina è il segnale che la crescita impetuosa sta agli sgoccioli e che i tassi di produzione tenderanno a diminuire nel futuro.
La riduzione della popolazione rurale, congiuntamente all’invecchiamento della popolazione e alla politica del figlio unico ancora in vigore, significa che la forza lavoro del paese sta declinando. I livelli impressionanti di crescita a cui la Cina ci ha abituato negli ultimi anni, con cifre a due zero, dovranno essere ridimensionati. La Banca Mondiale prevede nel medio periodo una caduta del prodotto interno lordo dall’8,7% del quinquennio 2010-2015 al 6,8% del 2016-2020.