Cina, schiava del sesso durante l’occupazione, ora chiede il risarcimento al Giappone

Pubblicato il 31 Agosto 2010 - 22:59| Aggiornato il 4 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA

Una donna cinese di 82 ha annunciato che ricorrerà alla Corte di Giustizia Internazionale per chiedere le scuse formali del governo giapponese per essere stata costretta, insieme ad altre, a diventare schiava sessuale dei soldati e ufficiali del Sol Levante durante la seconda guerra mondiale.

Secondo quanto scrive l’agenzia Nuova Cina, non è la prima volta che Wan Aihua si rivolge ad un tribunale per chiedere un risarcimento dal governo di Tokyo. La prima volta lo fece dinanzi ad una corte giapponese nel 1992. Durante questi diciotto anni, l’ex ‘comfort woman’, come venivano chiamate le donne cinesi obbligate ad avere rapporti con gli ufficiali giapponesi, è stata diverse volte a Tokyo a testimoniare, ma nonostante la Corte abbia riconosciuto una responsabilità diretta e indiretta dell’esercito giapponese in casi di schiavitù sessuale, non le ha riconosciuto nessun risarcimento.

Per il tribunale, infatti, i termini sarebbero scaduti e inoltre nei trattati post bellici tra Cina e Giappone le richieste individuali sono state eliminate. Durante la seconda guerra mondiale, i giapponesi furono responsabili di aver reso in schiavitù a fini sessuali migliaia di donne del sud est asiatico, conosciute eufemisticamente come ”comfort women”.

Secondo gli storici, più di 200.000 donne cinesi furono inviate dai giapponesi nelle loro case di tolleranza negli anni 30 e 40. Molte di queste, come Wan, erano minorenni all’epoca. Wan, che oggi ha 82 anni, aveva 15 anni quando fu inviata come ‘comfort woman’ in una casa d’appuntamento per soldati giapponesi nella provincia cinese dello Shanxi dove, ha raccontato in tribunale, fu violentata e torturata, tanto che le violenze le deformarono il corpo.

A Wan, infatti, furono fratturate le costole e le anche, ebbe l’orecchio destro tagliato di netto e il sinistro strappato a metà. Inoltre, a causa delle violenze, non è stata in grado di avere un figlio. Il governo giapponese ha ammesso le atrocità di guerra, ma ha dichiarato, per bocca dell’allora primo ministro Shinzo Abe nel 2007, che non ci sono prove che le donne furono obbligate ad avere rapporti sessuali.