Corea del Nord ordina ai diplomatici di vendere droga: servono soldi

di Francesco Montorsi
Pubblicato il 5 Aprile 2013 - 07:17| Aggiornato il 10 Dicembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

PYONGYAG – La Corea del Nord ha ingiunto ai diplomatici delle sue ambasciate di scendere in strada e smerciare droga. La storia, riportata da un quotidiano sudcoreano e rilanciata dalla stampa internazionale, ha dell’incredibile ma potrebbe essere vera. Le notizie che trapelano da quello che senz’altro è il paese meno trasparente del pianeta sfidano spesso l’immaginazione.

Secondo un disertore nordcoreano intervistato dal quotidiano Chosun Ilbo, Pyongyang ha mandato dispacci segreti alle sue ambasciate in diversi paesi del mondo, di cui almeno uno in Europa dell’Est. L’ordine era chiaro: vendere droghe per strada. Ad ogni diplomatico incaricato della delicata missione è stato spedito un carico di 20 chili di droghe con l’obiettivo di raccogliere 300.000 dollari dalle vendite.

Stimando che ogni ambasciata abbia arruolato una decina di diplomatici, ognuna di queste ha potuto raccoglie tre milioni di dollari. La missione è stata spiegata ai diplomatici con argomenti patriottici che rasentano l’assurdo. Pyongyang gli avrebbe chiesto di mettere da parte le loro responsabilità diplomatiche e di intraprendere il commercio di droga «per provare la loro devozione al paese e per celebrare il compleanno del fondatore della nazione Kim Il Sung il 15 aprile».

La storia potrebbe non essere, come può sembrare a prima vista, una bufala giornalista o un abile esercizio di propaganda sudcoreana in tempi di crisi. E’ ormai accertato che la Corea del Nord da anni abbia ricorso ad attività illegali quali la produzione di droghe e le frodi finanziarie per assicurarsi riserve di denaro. A causa dell’embargo internazionale e dell’isolamento economico legato alle sue ambizioni nucleari, la Corea del Nord soffre di una penuria di riserve monetarie estere. Mentre la maggior parte del paese vive in condizioni di assoluta povertà (negli ultimi mesi si sono registrati casi di cannibalismo), il giovane dittatore Kim Jong Un ed il suo inner circle vivono a Pyongyang nel fasto e nel lusso. Il paese è inoltre coinvolto da tempo in un programma nucleare che richiede ingenti investimenti.

Per fronteggiare queste spese e per garantirsi la fedeltà degli alti funzionari con regali sontuosi, la dittatura ha bisogno di molti soldi. La cosiddetta Room 39 serve a trovare queste liquidità grazie ad una mini-economia parallela fondata su traffici illeciti. Questo ufficio segreto governativo controllerebbe, secondo alcune fonti, i proventi di attività quali la frode assicurativa (di cui una è stata scoperta nel 2009 dal Washington Post), il riciclaggio di denaro e lo smercio di droghe sintetiche.

Quest’ultimo negli scorsi anni si è rivelato una voce di bilancio particolarmente florida: la metamfetamina prodotta da Pyongyang si è riversata nelle strade del paese e al di là del confine, nelle zone frontaliere con la Cina. Oggi, un altro passo sarebbe stato fatto e la droga di stato è arrivata perfino nelle ambasciate estere per essere venduta a tossici distanti migliaia di chilometri.

L’infelice espressione di conio americano «stato canaglia» acquisisce per la prima volta un significato particolarmente tangibile.