Coronavirus, troppe vittime da seppellire. E c’è chi pensa al “compostaggio umano”

di Caterina Galloni
Pubblicato il 1 Aprile 2020 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
compost

Coronavirus, troppe vittime da seppellire. E c’è chi pensa al “compostaggio umano”

Coronavirus apre la strada a un nuovo sistema di “sepoltura” dei morti, il metodo detto “compostaggio umano”.

In un mese, se dobbiamo credere ai sostenitori di questo metodo, ci trasformiamo in humus. Si tratta in pratica di una miscela detta “compost“, che può essere usata come concime. Così potrà accadere che i nostri cari potranno tenerci vicino in una urna, come già oggi accade con i resti della cremazione, oppure usarci per fare crescere più forte e più bella una pianta di orchidea o di rose o di glicine o di bouganvillea, secondo le preferenze e le probabilità di soprvvivenza nel temo della pianta. Per ora non si può fare. Esistono impianti di compost per uso domestico o industriale o comunale. Ma l’uso è limitato agli scarti vegetali e animali.

Ma la pandemia di coronavirus è solo lo spunto per rilanciare un tema che in futuro sarà di sempre maggiore attualità. Siamo 7 miliardi di esseri umani, saremo 10 miliardi fra 30 anni. La capienza dei cimiteri sarà, se non lo è ancora, presto esaurita. La cremazione è vista con ostilità dagli ambientalisti: produce anidride carbonica, contribuisce al riscaldamento globale.  

Legale nello Stato di Washington, il nuovo metodo è oggetto di proposte di legge alla Camera e a Senato dello Stato di New York. Grupi di pressione si stanno muovendo in California e Colorado. Sofia Quaglia ha intervistato, per il sito Inverse.com, una paniettiera di Saratoga Spring (New York), Beth Mandel Harrison. Per quando morirà, scrive Sofia Quaglia, ha in mente un progetto migliore rispetto a un lotto di terra in un cimitero pieno di lapidi. Vuole essere un albero. O, più precisamente, vuole essere le sostanze nutritive che fanno crescere e fiorire gli alberi. Infatti, “alla sua morte, Harrison vuole essere compostata nel terreno”. “I sogni di Harrison potrebbero sembrare bizzarri, ma è tutt’altro che sola in questo obbiettivo”. E spiega a Inverse:”Quando guarderanno gli alberi voglio che i miei figli si ricordino di me. Sarò un albero, qualcosa di bello e naturale”.

“Mi piace pensare che nutrirò un albero che fornirà ossigeno e bellezza al pianeta, in armonia con il paesaggio. E’ bello, è giusto, gentile con noi stessi e con le generazioni future”. Legalizzare il compostaggio umano non solo renderebbe felici gli ambientalisti come Harrison ma affronterebbe anche le enormi questioni ambientali associate alle scelte funerarie tradizionali – come l’impronta di carbonio e l’inquinamento del suolo – e offrirebbe una soluzione all’emergenza immobiliare funeriaria americana.

La ricomposizione è un’opzione dopo la morte“, sostiene Anna Swenson, portavoce di Recompose, la prima struttura di compostaggio umano negli Stati Uniti, che aprirà all’inizio del 2021. “La nostra missione è di renderlo disponibile come un’opzione, non fare pressione sulle persone affinché facciano una scelta che li metta in apprensione”.

Parlando con Pallab Ghosh di BBC News, l’amministratore delegato e fondatore di Recompose, Katrina Spade, ha affermato che un fattore determinante a scatenare l’interesse di tante persone, sono state le preoccupazioni sui cambiamenti climatici. “Finora 15.000 persone si sono iscritte alla nostra newsletter. E la normativa per consentire il compostaggio nello Stato ha ricevuto un sostegno bi-partisan che ha permesso di passare la prima volta che è stata presentata”, ha detto Spade. “Il progetto è andato avanti rapidamente proprio per l’urgenza rappresentata dai cambiamenti climatici e dalla consapevolezza che dobbiamo porre rimedio”.

Spade fa un distinguo tra decomposizione e ricomposizione. Il primo è quando un corpo è fuori dalla terra. La ricomposizione comporta l’integrazione con il terreno. Sostiene che rispetto alla cremazione, la riduzione organica naturale di un corpo previene il rilascio nell’atmosfera di 1,4 tonnellate di carbonio. Ritiene che ci sia un analogo rispamio rispetto alla sepoltura tradizionale, tenendo conto del trasporto e della costruzione della bara. “Per molte persone è in sintonia con il loro stile di vita”.

Il processo di “riduzione organica naturale” avviene in un impianto specifico destinato al compostaggio umano. Il corpo viene collocato all’interno di contenitore, coperto di legno, erba medica e fieno, quindi aerato per consentire ai batteri presenti in natura di agire. 

In trenta giorni il corpo si trasforma in sostanze organiche che faranno crescere una pianta o un albero e, dunque, una nuova vita. Sebbene sia un processo semplice, per perfezionare la tecnica ci sono voluti quattro anni di ricerca scientifica guidata da Lynne Carpenter Boggs, scienziato del suolo. Nello Stato di Wahington, il compostaggio del bestiame è una pratica consolidata.

Il compito di Carpenter Boggs era di adeguarlo ai soggetti umani e garantire che i resti del corpo fossero sicuri per l’ambiente. Ha condotto degli studi pilota con sei volontari che prima di morire avevano dato il loro entusiastico consenso alla ricerca. Carpenter-Boggs ha scoperto che il corpo ricomposto per un certo periodo di tempo ha raggiunto temperature di 55° C. grazie alle quali “siamo certi che c’è stata la distruzione della stragrande maggioranza di organismi patogeni e dei medicinali”.