Ebola uccide Sheik Umar Khan, medico “eroe” della Sierra Leone. Paura in Africa

di redazione Blitz
Pubblicato il 31 Luglio 2014 - 00:57 OLTRE 6 MESI FA
Sheik Umar Khan

Sheik Umar Khan

ROMA – Per le statistiche resterà solo una delle centinaia di vittime che Ebola sta mietendo in Africa. Ma non in Sierra Leone, dove Sheik Umar Khan, 39 anni, era un eroe nazionale, tanto che la notizia della sua morte ha gettato un intero Paese nello sconforto.

Da mesi, mai risparmiandosi, nell’ospedale di Kenema si batteva per salvare quante più vittime del terribile virus che conosceva benissimo (era virologo), sapendo che sono pochissime le speranze che lascia a chi ne viene infettato. Appena una settimana fa il virus lo aveva aggredito, portandolo alla morte, nonostante il disperato tentativo di salvarlo compiuto dai suoi colleghi di Medici senza frontiere che lo avevano preso in cura nel centro di Kailahun. Ebola fa paura. Trecentoquaranta volontari dei Peace Corps americani saranno ritirati temporaneamente da Liberia, Sierra Leone e Guinea, mentre in Liberia, dove i morti sono già 129 sui 672 decessi complessivi, la presidente Ellen Sirleaf Johnson questa sera in Tv ha annunciato una serie di misure, tra cui la chiusura di tutte le scuole “senza eccezioni”, per cercare di contenere il contagio.

“Ebola è reale, Ebola è contagiosa, Ebola uccide”, ha scandito. La morte di Khan è la prima che colpisce in Africa un personaggio pubblico, aumentando a dismisura i timori per un’epidemia che, dopo i primi casi registrati all’inizio dell’anno, è andata sempre più espandendosi: davanti al virus non ci sono difese se non la prevenzione, poiché non esiste un vaccino. Come bene sanno altri medici, pure essi contagiati da Ebola e che stanno lottando contro la morte per aver cercato di aiutare i pazienti che ormai affollano i centri di assistenza.

La situazione sta facendo innalzare il livello dei timori anche in Europa, come in Gran Bretagna, dove il virus viene ormai considerato come una minaccia serissima, tanto da far scattare serrati controlli alle frontiere per chi arriva dai teatri dell’epidemia. C’è stato già chi, per avere mostrato sintomi paragonabili a quelli di Ebola, è stato prelevato in aeroporto e sottoposto a controlli, che però hanno dato esito negativo. Mentre fonti Ue fanno sapere che l’Unione europea è attrezzata per rispondere all’eventualità che il contagio si estenda, anche se i rischi sono giudicati bassissimi.

Secondo le ultime stime – per difetto, vista la difficoltà a censire le vittime di un virus aggressivo – Ebola ha ucciso oltre 672 persone. Il virus, dalla Guinea, dove sono stati segnalati i primi casi, si è propagato nei Paesi vicini, dove le iniziative di contrasto sono state adottate con ritardo. Il precipitare della situazione, soprattutto negli ultimi giorni, sta facendo accrescere ancora di più la paura, che ormai attraversa tutta la fascia occidentale del continente. Il recente caso di un liberiano, giunto a Lagos da Monrovia in aereo via Lomè, inquieta ancora di più le autorità sanitarie locali – a cominciare da quelle nigeriane – che, anche sotto la fortissima pressione dell’Organizzazione mondiale della sanità, stanno elevando intensità e qualità dei controlli alle frontiere e dentro i rispettivi territori semmai un portatore ignaro di Ebola abbia eluso il cordone sanitario dispiegato.

Ma, ammette MsF, l’espandersi del virus è ormai totalmente fuori controllo, con tutte le conseguenze che questa “verità” comporta. La decisione della compagnia aerea africana Asky di interrompere, da subito, i voli verso Liberia e Sierra Leone, se dimostra la drammaticità del momento, acuisce la paura che scuote molti dei Paesi sub-sahariani. Intanto, negli ospedali che ciascun Paese interessato dal virus ha eletto a polo di contrasto di Ebola, sono molte decine le persone ricoverate e poste in quarantena in attesa che trascorrano le tre settimane di isolamento. Ma la rabbia delle gente, davanti all’impotenza degli Stati a bloccare l’espandersi del virus, si manifesta con sempre maggiore frequenza colpendo chi – come accaduto ad una equipe della Croce Rossa in Guinea, aggredita da decine di persone armate di coltellacci – viene visto come il simbolo d’un fallimento.