Egitto. Braccio di ferro governo-opposizione: il premier media. Il giallo dei picchiatori “pagati”

Pubblicato il 3 Febbraio 2011 - 09:56 OLTRE 6 MESI FA

IL CAIRO – Dopo una notte di guerriglia il popolo anti-Mubarak ha ripreso il controllo di piazza Tahrir (Liberazione) nel centro del Cairo dopo violenti e prolungati scontri con i sostenitori del presidente Hosni Mubarak. Nella notte, spari esplosi contro i manifestanti, provenienti dal ponte 6 ottobre, hanno ucciso 10 persone.

I militari dell’Esercito hanno esploso raffiche in aria per mettere in fuga degli uomini armati che sparavano da auto che viaggiavano a forte velocità sul ponte. I soldati hanno poi sparato nuovamente colpi di avvertimento nel tentativo di sedare gli scontri, proseguiti per tutta la notte con il lancio di sassi e bottiglie molotov. L’esercito ha eseguito un numero imprecisato di arresti, ancora non è chiaro se siano stati fermati dei sostenitori di Mubarak o degli oppositori.

Ieri, 2 febbraio, il vicepresidente Omar Suleiman, ha lanciato nuovamente un appello ai dimostranti perché lascino la piazza, “condizione indispensabile – ha detto – per far partire la transizione politica”. Il pressing americano sul governo egiziano si è fatto più forte, con Barack Obama e Hillary Clinton che hanno chiesto l’avvio immediato della transizione, e il senatore repubblicano John McCain che ha invitato Mubarak a dimettersi.

All’alba del decimo giorno di protesta, i sostenitori degli opposti schieramenti hanno ripreso il lancio di sassi e molotov, la tensione è alle stelle. Il leader dell’opposizione egiziana, Mohammed ElBaradei, in un’intervista rilasciata al ‘Guardian’, ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire per ritirare al più presto l’appoggio a un regime che per lui uccide la gente. Commentando le violenze esplose in piazza Tahrir, ElBaradei ha sottolineato come «questi atti criminali» abbiano reso impossibile qualsiasi ipotesi di aprire un negoziato con il governo. «Le violenze di ieri sono l’ennesima prova che il regime ha perso il senso comune», ha affermato l’ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) e premio Nobel per la Pace. «Non abbiamo alcuna intenzione di avviare un dialogo con questo regime finché il principale responsabile di tutto ciò, Mubarak, non lascerà il paese. Deve andarsene», ha precisato ElBaradei. «Mubarak ha ricevuto un voto di sfiducia da tutto il popolo egiziano – ha proseguito l’ex direttore dell’Aiea – spero che abbia l’intelligenza di capire che per lui è meglio lasciare ora prima che il paese crolli, economicamente e socialmente».«Credo che venerdì sarà un gran giorno da questo punto di vista – ha affermato – Ma anche se questo non dovesse accadere, se i manifestanti saranno repressi e picchiati, non c’è alcuna possibilità di tornare indietro. Questa è una nuova era, basta guardare i manifestanti negli occhi – ha sottolineato ElBaradei – Gli egiziani hanno più fiducia, hanno assaporato la libertà e non vogliono tornare indietro».

Il premio Nobel per la pace ha quindi confermato di essere stato contattato negli ultimi giorni dal governo britannico e da altri leader del consesso internazionale. «Il messaggio che ho riferito loro è stato semplice: prima Mubarak lascia, meglio è per tutti e più velocemente si potrà ripristinare la normalità e la stabilità in Egitto e costituire una pietra angolare della democrazia in Medioriente», ha concluso ElBaradei.

Intanto il vicepresidente Omar Suleiman egiziano ha avviato il dialogo con “partiti e forza nazionali” egiziane per la soluzione della crisi. La tv egiziana ha rilanciato l’annuncio senza fornire ulteriori precisazioni. Il premier Ahmed Shafik, citato dalla tv, ha detto che “ci incontriamo oggi con i partiti d’opposizione e le forze nazionali per trovare una soluzione alla crisi attuale”.

Mohamed El Baradei e i Fratelli musulmani hanno però respinto l’offerta di incontro: “Prima deve andarsene Hosni Mubarak”. Avrebbero invece accettato l’offerta i liberali, il partito nazionalista Wadf. Secondo altre fonti, ai colloqui parteciperebbero anche dei rappresentanti dei dimostranti di piazza Tahrir.

Anche il premier Ahmed Shafiq si è detto pronto a discutere con i manifestanti, dopo essersi scusato pubblicamente per le violenze in piazza, che per alcuni testimoni sarebbero state pilotate ad hoc dal governo per reprimere le rivolte. Il premier ha anche annunciato che l’attuale ministro dell’Interno, Mahmud Wagdi, ”sarà punito” se si dimostrerà che il suo operato è all’origine della mancanza di sicurezza nel paese.

Il mistero dei picchiatori. Qualcuno ha pagato i picchiatori che sono scesi in piazza? La fonte della LaPresse parla di un prezzo pagato agli improvvisati miliziani incaricati di pestare i manifestanti che oscillerebbe «tra i 40 e 100 dollari a seconda della zona». Il testimone cita un caso personale: «Mio cugino è stato fermato nella città di Mansoura, mentre era in macchina da due uomini che si sono identificati come membri del Ndp e gli hanno offerto una cifra equivalente a 40 dollari per andare a picchiare i manifestanti». «Me l’ha raccontato subito per telefono» aggiunge, spiegando che «per le strade del Cairo il prezzo è più alto». Sempre la stessa fonte racconta che un uomo bloccato in piazza Tahrir nella capitale mentre picchiava manifestanti avrebbe chiesto: «Non fatemi niente, sono stato pagato, mi hanno dato 100 dollari per picchiare».