I turbamenti di un finanziere: “Abbiamo le mani legate, siamo ostaggio di Tripoli”

Pubblicato il 15 Settembre 2010 - 09:15 OLTRE 6 MESI FA

Da anni pattuglia il canale di Sicilia come luogotenente della Guardia di Finanza, respinge gli extracomunitari per mestiere. Ha 45 anni e parla a “Repubblica” del ruolo dei finanzieri come lui che però lavorano a bordo delle motovedette libiche, come quella che ha sparato il peschereccio italiano Ariete domenica 12 settembre.

“Mentre i libici sparavano i miei colleghi a bordo erano impotenti. Perché non potevano fare nulla, non potevano intervenire. Abbiamo le mani legate: il nostro unico compito è di insegnare ai militari di Tripoli a governare quelle motovedette di 28 metri che il nostro governo ha ceduto a quello libico. Ho parlato con i miei colleghi a bordo e le posso assicurare che sono, a dir poco, sconcertati e non vedono l’ora di rientrare in Italia. Anche perché nei nostri confronti i libici non si comportano certo bene. Siamo sistemati in un albergo, ma è tutto recintato, è una sorta di prigione dalla quale usciamo soltanto per andare in mare con loro per le attività programmate”, racconta al quotidiano.

Poi continua:  “Siamo costretti a salire a bordo di quelle imbarcazioni, perché gli accordi tra il governo libico e quello italiano lo prevedono”. Secondo gli accordi siglati da Roma e Tripoli i finanzieri hanno un ruolo di controllo e osservazione: possono guardare, ma non intervenire. Per il luogotenente questo spiegherebbe il perché i suoi colleghi hanno assistito al mitragliamento e sarebbero stati costretti a scendere sottocoperta, quindi lontano dal ponte della nave.

“I soldi in più che guadagniamo in queste missioni non valgono proprio il gioco. Soprattutto quando, com’è accaduto l’altro ieri, dobbiamo assistere impotenti a un tentativo di abbordaggio con l’uso delle armi, le nostre armi, contro dei connazionali indifesi. Tutto ciò non si può sopportare”, dice.

Così nessuno vuole salire sulle motovedette per fare quel lavoro. Inoltre c’è il nodo immigrati: “Cosa dobbiamo fare? Se non li respingiamo incorriamo in provvedimenti disciplinari, se li respingiamo veniamo indagati. Ed allora come uscirne? Questa storia dei respingimenti è uno dei servizi più crudeli che svolgiamo. E da molti mesi si registrano casi di “ammutinamento” nel senso che molti pattugliatori, che dovevano salpare dai porti liguri o toscani per darci il cambio, non partono proprio”.