Gangnam style: dai Parioli di Seul a Foreign Policy e geopolitica

Gangnam Style

Seul – Gangnam Style è il tormentone globale che, grazie a internet, è diventato un fenomeno mediatico mondiale, al punto che la sussiegosa rivista americana Foreign Policy gli ha dedicato un saggio. Pochi però sanno che dietro l’irresistibile motivetto, c’è un riferimento sociale preciso:  un quartiere a Seoul che fino a poco tempo fa nessuno conosceva e che ora è diventato celebre in tutto il mondo. Come i Parioli a Roma, come Beverly Hills a Los Angeles, come il sedicesimo arrondissement a Parigi, Gangnam rappresenta il ghetto dorato all’interno della grande metropoli, il sogno immobiliare degli ambiziosi e la meta ultima dei nuovi ricchi.

Il lustro di Gangnam tuttavia, a detta dei commentatori coreani, non è più quello di un tempo, quando il quartiere era assediato da compratori e affittuari in cerca di elevazione sociale e quando i prezzi delle case e delle rette scolastiche si innalzavano mese dopo mese. Eppure, paradossalmente, proprio quando quel fascino splendeva di meno, è arrivata improvvisa l’apoteosi mediatica. E il sogno è diventato leggenda.

Tra quelli che posseggono una connessione internet chi non ha mai ascoltato la canzone “Oppa Gangnam Style”? Chi non ha visto, almeno una volta, il video dove il cantante coreano Psy si esibisce in un ballo che imita il trotto del cavallo, mentre sfilano sullo sfondo le immagini dorate, kitsch e sensuali del quartiere Gangnam?

Da quando, pochi mesi fa, il video è stato postato su You Tube, ogni giorno diverse centinaia di migliaia di persone lo hanno visualizzato. Oggi, “Oppa Gangnam Style” è il video più visto della storia di internet con più di un miliardo di visualizzazioni e il disco di Psy, «Psy six», è entrato nelle classifiche dei più importanti mercati discografici, piazzandosi primo in mezza Europa e secondo negli Stati Uniti.

Ma la vera fama si misura con altri fattori. La capacità del video e della canzone di penetrare rapidamente nella cultura popolare ha pochi precedenti. L’effetto provocato dal video musicale, dal cattivo gusto esuberante ma non volgare, è stato paragonato a quello di «Thriller». Il ballo del clip – appositamente inventato per il singolo – è stato imitato dappertutto e bisogna tornare alla Macarena per trovare qualcosa di lontanamente simile.

Le movenze di Gangnam Style sono state riprodotte in video girati in Arabia Saudita o in Polonia, da soldati americani in missione o da studenti universitari. Crozza se ne è servito per commentare la ri-ri-ri-discesa in campo di Berlusconi e negli Stati Uniti, poco prima delle elezioni, hanno diffuso una spassosa versione intitolata “Mitt Romney Style”. Personalità della politica, della cultura e dell’arte si sono prestati al gioco e hanno ballato: da Ai Weiwei ad Anish Kapoor, da Boris Johnson a Ban Ki Moon.

Dietro questo fenomeno, apparente simbolo della moderna globalizzazione, si nasconde la rodata macchina dello spettacolo di un paese. Il successo di Psy nasce, infatti, nel seno della K-Pop (abbreviazione per Korean Pop), una tradizione artistica fondata su una miscela di hip-hop, R’n’B e musica elettronica, come pure su un sistema di fabbricazione delle star pianificato dalle grandi etichette discografiche. Dopo aver imperversato prima in Corea e poi in Asia (Cina e Sud-est asiatico), la K-Pop ha debordato dall’alveo originale e si sta facendo conoscere in Europa e negli Stati Uniti. I biglietti per il primo concerto di K-Pop tenutosi in Europa, allo Zenith di Parigi nel dicembre 2012, sono stati tutti venduti in quindici minuti.

Se per l’Europa questa invasione culturale coreana è un fenomeno recente, così non è per diverse regioni del mondo, specie alcuni paesi in via di sviluppo. L’«onda coreana» (in lingua originale la «Hallyu») è iniziata già negli anni novanta, quando la musica proveniente da Seul ha cominciato a sedurre le giovani generazioni dei paesi vicini (provocando, tra l’altro, la preoccupata reazione dei dirigenti cinesi).

Oltre alla musica sono stati i telefilm «made in Korea» che hanno conquistato, negli anni novanta e duemila, i telespettatori di mezzo mondo. In Medio Oriente, in America Latina e nell’Europa dell’est, le emittenti trasmettono da anni le soap-opera e i telefilm coreani, meno costosi di quelli americani ma non per questo meno avvincenti.

In questo quadro, il successo di Gangnam Style rappresenta la simbolica consacrazione di un’influenza nazionale che si estende fin dagli anni novanta. Più in generale, il fenomeno illustra alcune tendenze commerciali e culturali sempre più visibili su scala mondiale. Come osserva Mark James Russel nel suo articolo nella rivista Foreign Policy consacrato al fenomeno Gangnam, gli Stati Uniti e l’Europa stanno perdendo il monopolio nella creazione e nella diffusione dei trend culturali, specie nel sud del mondo. Inoltre, la «bilancia» degli scambi culturali, sostanzialmente immutata dall’epoca del colonialismo europeo, si sta trasformando di fronte a nuove forme di influenza, non legate ad un predominio politico. L’incredibile successo mediatico ed artistico dell’onda coreana è una riprova del nuovo sistema multipolare che si sta formando sotto i nostri occhi.

 

 

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