Haiti: la testimonianza inedita di uno scrittore americano

Pubblicato il 27 Febbraio 2010 - 19:08 OLTRE 6 MESI FA

Mischa Berlinsky è un autore americano di cui l’opera prima, Fieldwork, è stata recentemente pubblicata. Figlio del postmodernismo, scrittore dalla prosa pertinente, dotato di uno sguardo désabusé sul mondo, ci lascia un’interessante testimonianza sul terremoto di Haiti. Berlinsky si trovava infatti ad Haiti con la famiglia il giorno della tragedia.

Belinsky scriveva al computer dentro un bungalow quando attraverso la finestra si è visto il mondo ondeggiare. Come se una forza misteriosa tirasse da un angolo invisibile un lenzuolo. Uscito fuori dalla casa, Belinsky ha osservato dal giardino la scena seguente. Una dopo l’altra, onde sotterranea rotolavano al suolo. Ognuna era più forte della precedente. Sembrava dovessero terminare da un momento all’altro ma non terminava mai. Nell’aria si agitava un rumore infernale causato dal movimento della terra o forse dal crollo di così tanti palazzi.

« Ero da solo nel giardino – racconta Belinsky – sono caduto in ginocchio, non sbattuto al suolo, ma senza equilibrio, come se avessi ruotato intorno a me stesso troppe volte. Nemmeno per un secondo mi è venuto in mente che potessi morire. Il terremoto è sembrato durare un tempo infinito, sembrava che dovesse diventare sempre più forte. Alla fine non è diminuito. Si è semplice fermato. Di botto. E’ allora che sono cominciate le grida. »

Belinsky sapeva che Cristina, Leo e Bruno – sua moglie, suo figlio di dieci mesi, e il suocero – erano a casa, là vicino, in un’altra struttura. Ma l’autore non aveva paura. « Sapevo che poteva essergli successo qualcosa ma sapevo anche che non gli era successo nulla; una specie di ottimismo di rettile. Ho cominciato a correre. Alla fine della strada ero senza fiato, stavo quasi per vomitare. Cristina, Leo e Bruno mi stavano aspettando alla fine del viottolo. Cristina piangeva. Il bambino era composto, calmo ».

In quel momento un gruppo di donne ha cominciato a cantare degli inni. Subito altre voci di altre donne le hanno raggiunte. Quel suono non sarebbe venuto meno per giorni. C’erano donne che danzavano. Una grossa donna cullava un bambino immobile e coperto di sangue nelle sue braccia.

Era una notte straordinaria, bella e chiara. Non c’era più elettricità in tutta Port-au-Prince, e quando la luna è comparsa, senza l’inquinamento luminoso, e dopo che la polvere delle macerie si è infine posata al suolo, un sereno cielo stellato è emerso. Cristina era preoccupata che il piccolo avesse freddo e l’aveva infagottato in strati e strati di coperte. La terra tremava ancora. Le scosse di assestamento davano l’impressione di trovarsi sul ponte di una nave.

La cosa più strana era il silenzio. Nessuna sirena, nessun elicottero. Cristina e Mischa hanno passato la notte scrivendo liste di conoscenti sull’isola: la tata, gli amici, i colleghi di Cristina, Smith dell’agenzia immobiliare – aveva appena avuto una bambina, e Pierre, il tassista, anche lui padre da poco. Quella notte è passata così, nel viale d’accesso della casa, come se il terremoto avesse cancellato il resto del mondo. Poco prima dell’alba, anche il canto delle preghiere è cessato.