Iran, Neda due anni dopo. La lotta per la libertà continua

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 17 Giugno 2011 - 21:10 OLTRE 6 MESI FA

Neda

ROMA – Gli occhi, luminosi e neri, di Neda Agha Soltan penetrano i nostri pensieri oggi come due anni fa. La sua foto, negli ultimi giorni di un giugno infernale, fece il giro del mondo catturando l’attenzione di chiunque si soffermasse su quel volto incorniciato dal velo, espressivo e dolce come l’animo delle donne iraniane capaci di sentimenti intensi e di coraggio raro. Lo conoscemmo tutti quel volto e restammo incantati da tanta bellezza che la morte violenta – procurata dalle mani assassine dei basiji, dei pasdaran, degli ayatollah – sfigurandone le fattezze somatiche, paradossalmente ne esaltava quella nascosta, intoccabile: una micidiale arma contro i suoi aguzzini.

Neda ebbe la fortuna, in quei giorni torbidi seguiti all’illegittima rielezione di Mahmud Ahmadinejad alla presidenza della Repubblica islamica iraniana, di non finire i suoi giorni nel lugubre carcere di Evin, magari piegata da indecenti torture, come capitò e capita a tante sue coetanee, ma tra la gente, colpita vilmente da un assassino di professione che forse non ebbe neanche il tempo di incrociarne lo sguardo dal quale, certamente, sarebbe rimasto abbagliato.

La battaglia di Neda continua ad essere la battaglia degli iraniani e quel sorriso brutalmente spento contagia ancora milioni di ragazzi e ragazze che in testa hanno gli stessi sogni che aveva la ventiseienne la cui morte ha avvolto, come in un sudario sporco, il regime dei mullah. La tomba di Neda è interdetta ai visitatori: Khamenei e la sua banda temono che essa possa diventare un simbolo che alimenta la rivolta e l’insofferenza di milioni di uomini e di donne che giorno dopo giorno assistono speranzosi alle lotte interne al potere che potrebbero far deflagrare il regime o, quantomeno, ridurre il peso degli intransigenti a vantaggio dei moderati.

Perciò la fine violenta di Neda da due anni tiene viva la tenue fiammella che si accese durante i violenti scontri tra le fazioni di Ahmadinejad e quelle di Moussavi (dalla maggior parte degli iraniani ritenuto il legittimo presidente) e contribuisce a non rassegnarsi ad un destino ritenuto ineluttabile fino a poco tempo fa. In ventiquattro mesi apparentemente nulla è cambiato in Iran. Di fatto si è acuita una lotta, con colpi di scena che non sembra abbiano tenuto viva l’attenzione dell’Occidente, tra l’ala clericale, incarnata dal potere assoluto della Guida Suprema Alì Khamenei e quella laica, rappresentata dal presidente della Repubblica. Questi, più volte ha tentato di far valere le proprie ragioni sfiorando la sconfessione degli ayatollah nelle cui mani sono i destini dell’Iran che il beneficato dai mullah vorrebbe sottrargli.

L’ultimo incidente si è verificato agli inizi del maggio scorso, quando Ahmadinejad ha destituito, senza comunicarlo a Khamenei ed al Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione,il ministro della sicurezza nazionale, nonché capo dell’intelligence, Heydar Moshlei, un religioso vicinissimo alla Guida Spirituale e, dunque, ” intoccabile” per definizione anche perché nella sua veste ha il controllo dello stesso presidente e dei maggiorenti del regime. Fin dai tempi di Khomeini la nomina del ministro della sicurezza è sempre stata concordata (cioè imposta) con il clero. La ribellione di Ahmadinejad è stata sanzionata nel modo più plateale da parte di Khamenei: annullando la decisione e reintegrando Moshlei nelle sue funzioni.

Uno smacco? Molto di più. La sconfessione del presidente è stata letta come un esplicito invito agli iraniani ad appoggiare, sia pure nei limiti dell’intoccabilità dei vertici del regime, il movimento riformatore che si sta preparando in occasione delle elezioni presidenziali del 2013. Sarà allora che la partita decisiva si giocherà. Ahmadinejad cercherà di presentare un suo uomo o, forzando la Costituzione, di candidarsi lui stesso. Il clero non aspetterà senza provare a mettere in campo le opportune contromisure e si prepara ad organizzare il popolo contro colui che numerosi ayatollah già definiscono usurpatore e miscredente. Una stagione di sangue, dunque, è alle viste a Teheran. Va detto che Ahmadinejad, uno degli uomini più crudeli apparsi sulla scena mondiale negli ultimi decenni, giocherà tutte le sue carte pur di non perdere il potere. Insomma, non si ritirerà dopo i sanguinari servizi resi al regime come un qualsiasi impiegato nel ramo del terrore a godersi la pensione.