Dublino: nessuna scusa alle ragazze schiave nelle lavanderie Magdalene

Pubblicato il 8 Febbraio 2013 - 13:05| Aggiornato il 10 Giugno 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Chi ricordi il film “Magdalene” sulle case di rieducazione in Irlanda destinate a ragazze “immorali” gestite dall’ordine cattolico delle Suore di Nostra Signora della Carità, è rimasto alle scuse tardive della Chiesa. Le famigerate “lavanderie di Magdalene”, dove ragazze madri, “devianti” o abbandonate erano impiegate senza essere pagate, sono state attive fino 1996, con il benestare e il sostegno dello Repubblica d’Irlanda. Il Governo, pochi giorni fa, ha reso pubblico in Parlamento un rapporto di mille pagine le cui conclusioni ribadiscono “il significativo coinvolgimento dello stato” in quello che viene definita una vera e propria schiavitù lavorativa elevata a sistema.

Migliaia di donne e ragazze sono state incarcerate e sfruttate per anni ma il premier irlandese, Enda Kenny, non è riuscita a trovare le parole appropriate per chiedere ufficialmente e senza ambiguità scusa in nome dello Stato. Bisognerà aspettare il dibattito parlamentare, prima che vengano accolte le richieste, oltre per le scuse, anche per un risarcimento morale e materiale. In effetti, la posizione del governo finora rimane ancorata al principio per cui una vasta maggioranza delle donne accettò di andare in questi istituti volontariamente e se minori con il consenso di genitori o tutori”. A questo proposito, però, il rapporto dice che almeno un quarto di loro è stata inviata negli istituti dallo Stato.

C’era, di fronte al Parlamento irlandese, ad attendere invano queste scuse doverose, anche una delle due figlie gemelle di Margaret Bullen, una ragazza “deviante” che dal 1967, quando aveva 16 anni, ha lavorato ininterrottamente al Sean MacDermott Street Laundry fino al ’96, per poi rimanervici e morirci nel 2003. La storia, raccontata dal New York Times, è agghiacciante, una storia di abbandoni, abusi, sfruttamento, alienazione. Samatha Long e Etta Thornton-Verma, nate nel 1972 e adottate 9 mesi dopo, non conobbero la loro madre naturale fin quando, a metà degli anni ’90, non decisero di comune accordo di risalire fino alle origini  le tracce delle loro esistenze.

Nel 1995 intercettarono la sua presenza in una delle famigerate lavanderie. Secondo Samantha, “a 42 anni ne mostrava almeno venti in più, effetto della denutrizione e del lavoro forzato”. Fu uno choc rivederla. Avevano fatto qualche congettura, pensando di trovarsi di fronte a una donna che per qualche motivo aveva dovuto abbandonare i figli: “non avremmo mai pensato che fosse stata tenuta prigioniera per anni dalle suore”. Restò incinta due volte dalle suore: parlando con lei si convinsero che entrambe le gravidanze, e quindi anche il loro concepimento, erano il risultato di abusi sessuali. Anche il figlio nato quattro anni dopo di loro fu dato in adozione.

Non ricevette mai un salario, né le suore versarono mai un contributo per la pensione. Quando la lavanderia chiuse nel ’96 restò nell’istituto. Morì 7 anni dopo, per i postumi della sindrome di Goodpasture, una malattia associata all’esposizione continuata ai reagenti chimici della lavanderia. E’ stata sepolta in una tomba comunale desinata alle Magdalene d’Irlanda al cimitero Glasnevin di Dublino. Delle 11 mila ragazze censite come recluse negli istituti ne sono rimaste in vita un migliaio.