Israele: inferno sul monte Carmelo. Un maxi incendio fa una strage

Pubblicato il 3 Dicembre 2010 - 00:12 OLTRE 6 MESI FA

Monte Carmelo

Inferno sul monte Carmelo, nel nord d’Israele, dove un gigantesco rogo divampato fra i boschi ha devastato ieri un’area di 3000 ettari, causando la morte di almeno 40 persone (quasi tutte guardie carcerarie), il ferimento o l’intossicazione di diverse altre, lo sgombero di villaggi e kibbutz e ingenti danni materiali. Un disastro di portata inedita per Israele, costretto a chiedere l’invio di aerei anti-incendio da Paesi stranieri – Italia, Russia, Cipro, Turchia e altri – per far fronte a una situazione rimasta fuori controllo per l’intera giornata dopo i primi allarmi del mattino e deterioratasi ancora nella notte.

La strage si e’ consumata lungo una delle tortuose strade del Carmelo: un suggestivo promontorio citato dalla Bibbia, arricchito da una lussureggiante riserva naturale, affacciato sulla baia di Haifa e dominato da un santuario cattolico fra i piu’ visitati della Terra Santa. Ne sono rimaste vittime decine di guardie penitenziarie che erano a bordo di un bus ribaltatosi mentre si allontanava dalla zona dopo l’evacuazione dei detenuti del vicino carcere di Damon. Il loro destino e’ stato orrendo: in trappola fra le lamiere, sono stati investiti dalle fiamme. I morti, malgrado le telefonate disperate e i tentativi di aiuto, sono stati alla fine almeno 40, ma si contano pure alcuni feriti gravi e altri piu’ leggeri fra poliziotti e soccorritori.

Una tragedia che ha fatto precipitare il Paese nel lutto e ha proiettato un sottofondo plumbeo dietro le immagini apocalittiche del fuoco e del fumo. L’incendio, definito ”uno dei piu’ gravi della storia d’Israele” dal portavoce dei vigili del fuoco Yoram Levy, ha interessato un’area molto vasta: di oltre 7000 acri (2800 ettari) secondo stime aggiornate, ma ancora parziali. Alcuni feriti o intossicati si lamentano anche nel kibbutz di Givat Wolfson, evacuato come diversi villaggi (in maggioranza drusi) della zona, hotel e strutture carcerarie. La piccola localita’ di Beit Oren appariva ieri sera spettrale e quasi completamente distrutta, in un panorama di case semi-carbonizzate.

Mentre l’allerta si e’ estesa fino a Haifa (dove l’universita’ e’ stata sgomberata nel pomeriggio) e danni si registrano anche in varie strutture, fattorie e almeno tre kibbutz di medie dimensioni: in uno figurano fra i residenti sei italo-israeliani, rimasti apparentemente incolumi. Le persone evacuate sono oltre 5000, mentre a tarda sera i responsabili dei servizi di emergenza parlavano anche di alcuni ”dispersi”, fra i quali almeno due funzionari di polizia, e di un quadro generale di impotenza dei mezzi israeliani, in attesa degli aiuti internazionali.

Le cause dell’incendio restano da accertare, ma non si esclude l’ipotesi del dolo. Secondo fonti di polizia, la pista principale d’indagine si concentra al momento sul probabile legame fra il rogo e un focolaio iniziale acceso in una discarica abusiva. A contribuire al disastro, sono state poi le raffiche di vento e la vegetazione, resa facilmente infiammabile dalla siccita’ che da mesi flagella la regione, in assenza di piogge e di una qualunque traccia d’inverno. Il premier Benyamin Netanyahu ha parlato di ”una catastrofe senza precedenti” per Israele e ha assicurato il massimo sforzo per i soccorsi, annunciando anche il coinvolgimento dell’esercito. Ma ha ammesso che ci sono ”molte lezioni da trarre” dall’accaduto.

Le prime polemiche fanno in effetti gia’ rumore. Il Paese e’ apparso colto di sorpresa e impreparato, come conferma l’affannato Sos rivolto oltre confine e raccolto persino – con l’invio di due velivoli – dal governo turco di Recep Tayyip Erdogan, reduce da mesi di tensioni politiche fortissime con gli ex alleati israeliani. Il sindaco di Haifa, Yona Yahav, ha denunciato intanto a chiare lettere carenze di controlli sulle discariche illegali e di presidi delle aree boschive. ”Lo sapevamo tutti – ha dichiarato – che era solo una questione di tempo: questa e’ una calamita’ annunciata”.