Nei cantieri polverosi dei territori occupati della CisGiordania 48 nuovi appartamenti sono quasi terminati. I muratori stanno finendo di posare gli ultimi mattoni e allineare le ultime tegole sui tetti di una cittadina, Ariel, che già conta 19,000 anime. Fin qui tutto normale, almeno da un punto di vista edile, se non fosse che la forza lavoro di un territorio occupato da Israele sia prettamente palestinese.
Abed Abdel Karim, 41 anni, sposato con figli, lavora come muratore e da oltre 15 anni fa parte di quella schiera di oltre 21.000 palestinesi che lavorano negli insediamenti israeliani. Per 8 ore di lavoro cinque giorni a settimana guadagna tra i 35 e 55 dollari al giorno, decisamente meglio di un massimo di 25 dollari che guadagnerebbe per lo stesso lavoro in Palestina. E’ consapevole che quello che sta facendo è un controsenso, ma “non è mio dovere porre rimedio a ciò” dice Karim che poi aggiunge “non voglio diventare milionario ma solo poter pagare le spese”.
Se da un lato persone come Karim negli ultimi anni sono stati determinanti nella parziale ripresa dell’economia palestinese, dall’altro è anche vero che questa forza lavoro sta permettendo agli insediamenti di prosperare ed espandersi. Oggigiorno circa 300.000 israeliani vivono in più di 120 insediamenti sparsi nella Cisgiordania, una cifra che è quasi triplicata rispetto a quando sono cominciati i negoziati per la pace circa due decenni fa.
Il governo palestinese, in un tentativo di porre rimedio a questa crescente perdita di manodopera palestinese, ha annunciato di voler creare un fondo inteso a incoraggiare dei progetti di edificazione su larga scala. Il fondo, annunciato a Maggio, spera di attrarre investitori stranieri oltre che palestinesi, ma fino ad adesso gli unici soldi, 5 milioni, un decimo dei 50 milioni preventivati, provengono dall’autorità palestinese. Inoltre, anche se il fondo dovesse prendere piede, le società palestinesi probabilmente continueranno a pagare meno di quelle israeliane.
“Non consideriamo la differenza nella paga una giustificazione per nessuno a lavorare negli insediamenti- ne’ nazionalistico, ne’ politico, ne’ morale” ha detto il ministro del lavoro palestinese Ahmed Majdalani. A questo si aggiunge un’altra misura passata sempre dal governo palestinese circa un anno fa che vieta ai palestinesi di lavorare negli insediamenti, pena una multa fino a $14,000 e 5 anni di galera. La direttiva pero’ non e’ ancora stata messa in pratica visto le alternative a cui stanno pensando per invogliare i lavoratori a cambiare localita’ lavorativa.
La portavoce degli insediatori Alisa Herbst si dice favorevole ai divieti imposti dal governo palestinese perche’ permetterebbe una maggiore presenza di dipendenti ebrei. Al cantiere di Ariel invece il 32enne Abdel-Jaber Bouzia ha detto la sua sulla possibilita’ che queste disposizioni potessero funzionare. “Forse tra qualche milone di anni” ha dicharato, mentre infilava la sabbia in una betoniera.
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