Kabul aeroporto: se autobombe e poi marines fatti prigionieri…fino a domani si salva, poi si scappa

di Riccardo Galli
Pubblicato il 26 Agosto 2021 - 12:20 OLTRE 6 MESI FA
Kabul aeroporto: se autobombe e poi marines fatti prigionieri...fino a domani si salva, poi si scappa

Kabul aeroporto: se autobombe e poi marines fatti prigionieri…fino a domani si salva, poi si scappa (Foto Ansa)

Aeroporto Kabul: kamikaze ed esplosioni e poi panico ma, soprattutto, ostaggi. Ostaggi da liberare come accadde quasi mezzo secolo fa in Iran, non lontano da quell’Afghanistan che oggi è la Las Vegas dei terroristi. Afghanistan dove negli ultimi giorni, secondo le varie intelligence occidentali, sono arrivati circa 10mila combattenti di varie sigle e ispirazioni jihadiste.

La paura degli Usa: marines ostaggio in Afghanistan

A preoccupare i governi dell’ex coalizione arrivata a Kabul 20 anni fa è la possibilità, più che concreta, di un attacco all’aeroporto e il rischio conseguente di non riuscire a portare via i propri uomini, i propri soldati. Di ritrovarsi con centinaia se non migliaia di prigionieri di fatto in mano ai talebani.

Attentato all’aeroporto di Kabul: rischio autobombe e kamikaze

L’allarme è arrivato contenuto nei briefing dei servizi che ogni mattina il presidente Usa trova sulla scrivania e parla di rischio attentati. Non sarebbe stata necessaria la Cia ma i report confermano quello che è facile immaginare.

L’Afghanistan e in particolare Kabul e il suo aeroporto sono un’occasione ghiotta, lo scenario ideale per un attentato e un richiamo irresistibile per Isis, Al Qaeda e qualsivoglia sigla di simile ispirazione. L’idea è semplice e di relativamente facile realizzazione. Mettere in atto un attacco, con autobombe come suggeriscono i media oggi o con i kamikaze o in qualsivoglia altro modo. Creare il panico e rendere lo scalo afghano inagibile.

Gli ostaggi americani in Iran

Non tanto per le potenziali vittime afghane e nemmeno per quelle occidentali. Ma per le conseguenze di una simile operazione. Conseguenze che fanno letteralmente tremare le vene ai polsi degli strateghi di Washington e del resto del mondo.

Poco meno di 50 anni fa, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 il mondo assistette a quella che passò alla storia come la crisi degli ostaggi. In Iran la rivoluzione aveva appena preso il potere, rivoluzione di ispirazione islamica che ha dato vita all’attuale teocrazia. In una notte di novembre del ’79 centinaia di persone, studenti raccontano le cronache come studenti, guarda il caso, si definiscono i talebani, assaltò l’ambasciata americana prendendo in ostaggi diplomatici e cittadini all’interno: in totale 52 persone.

La crisi durò oltre un anno e servì un blitz militare fallito, una seduta segreta del Parlamento Canadese, la mediazione di mezzo mondo e un nuovo presidente Usa, Regan, perché gli ostaggi tornassero a casa.

A Kabul ci sono americani, inglesi, tedeschi, italiani…

Oggi, a Kabul, non ci sono 52 americani, ma migliaia, insieme a migliaia di inglesi, tedeschi, italiani… Intorno e all’esterno dell’aeroporto di Kabul ci sono migliaia di persone, afghani nella stragrande maggioranza che vorrebbero lasciare il Paese temendo per la loro vita perché hanno collaborato con le forze occidentali e semplicemente perché in fuga da un regime che in passato e non solo ha mostrato tutta la sua barbarie.

All’interno dello scalo migliaia di soldati occidentali che stanno gestendo il ponte aereo che ha già portato fuori dal Paese decine di migliaia di persone. Ma il lavoro non è ancora finito. I talebani hanno dato tempo sino al 31 agosto. Infiltrarsi in quella calca passando inosservati, magari con la complicità dei taleb che sono gli unici a garantire la sicurezza all’esterno dell’aeroporto, non è impresa impossibile. Un kamikaze, un’autobomba. Un’esplosione. Panico e morti, decine. Forse più.

Il ponte aereo s’interrompe, collassa. Lo scalo della capitale afghana smette di essere zona sicura, occidentale. Peggio diventa inservibile e, dopo la conta delle vittime rimaste a terra dopo l’esplosione e dopo gli inevitabili scontri a fuoco seguenti, il problema, quello con la ‘P’ maiuscola: migliaia di soldati e civili bloccati lì, in territorio nemico, in territorio telebano.

Asserragliati in quel che rimane dello scalo o, peggio, nelle mani degli studenti coranici che dell’aeroporto hanno ripreso il controllo. Al confronto lo scenario iraniano, con 52 ostaggi, sembra un partita di Risiko tra amici. Il rischio che accada altissimo. Bisogna andar via al più presto. Per questo il rimpatrio di civili e collaboratori afghani è di fatto finito. I giorni che restano, da qui al 31 agosto, servono per riportare a casa i soldati che sono ancora lì dislocati.