Kirghizistan, 68 vittime. Nel Paese musulmano, una donna alla guida del Paese

Pubblicato il 8 Aprile 2010 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA

All’indomani degli scontri tra polizia e manifestanti, che hanno causato almeno 68 morti e indotto alla fuga il presidente Kurmanbek Bakiev, il musulmano Kirghizistan è ora sotto la guida della leader dell’opposizione, Roza Otunbayeva, che ha assunto ad interim il ruolo di premier e ha annunciato che assumerà anche le responsabilità presidenziali.

Otunbaieva ha reso noto che l’opposizione sta negoziando le dimissioni del presidente Kurbanbek Bakiev. “L’esecutivo sta preparando una serie di decreti per restituire allo Stato la proprietà di alcuni impianti strategici venduti illegalmente a un prezzo vile”, ha detto la Otunbayeva, ricordando che recentemente sono stati venduti i pacchetti statali di tre grosse compagnie, di cui due energetiche. Il governo intende anche ristabilire le precedenti tariffe dell’energia elettrica, il cui aumento è stato una delle cause del crescente malcontento della popolazione.

La Otumbayeva, inoltre, aveva sciolto ieri il Parlamento dichiarando che il governo provvisorio guiderà il Paese per un anno e mezzo, durante il quale la Costituzione sarà sottoposta a una revisione e verranno attuate diverse riforme in materia elettorale. Quanto al presidente fuggitivo Bakiev, che la Otunbayeva afferma essere tornato nella città natale di Jalalabad, la leader dell’opposizione ha detto: “Vogliamo negoziare le sue dimissioni. I suoi affari qui sono finiti”.

Poi un accenno alle persone morte negli scontri di ieri: “Le persone che sono state uccise qui ieri sono vittime del suo regime”. “Tutte le regioni sono sotto il nostro controllo, ma stiamo ancora lavorando su Osh e Jalalabad”, ha detto la leader.

Il presidente kirghizo Kurmanbek Bakiev si è rifugiato ad Osh, conferma il ministero della Difesa, che spiega: “In seguito alla violenta rivolta di ieri nel Paese, Bakiev é partito per Osh, su insistenza dei ministri e dei responsabili della sicurezza”.

Proprio a Osh, nel sud del Paese, l’opposizione ha occupato tutti gli edifici governativi e almeno 2 mila persone si sarebbero radunate nella piazza principale della città, dove ci sono stati tafferugli tra sostenitori del presidente e opposizione.

La base Usa. Intanto, la base militare statunitense di Manas, in Kirghizistan, fondamentale per le operazioni militari in Afghanistan, resterà aperta: lo ha assicurato lo stesso capo del governo, Roza Otunbayeva.

Le proteste. Il focolaio delle proteste è scoppiato nei dintorni del palazzo presidenziale di Bishkek, capitale del paese. I dimostranti hanno occupato la sede della radio e della tv di Stato, la polizia ha cominciato a sparare sulla folla.

La gran parte delle vittime è stata uccisa da colpi d’arma da fuoco, ha riferito Larissa Katchibekova, del ministero della Sanità. Solo pochi giorni fa nella capitale kirghisa era giunto in visita il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon.

Il ministro degli Interni Moldomusa Kaongatiev sarebbe stato ammazzato a bastonate nella città nordoccidentale di Talas. Lo ha confermato all’Associated Press il militante dell’opposizione Shamil Murat, che dice di aver visto il cadavere dell’esponente del governo in un palazzo dell’amministrazione. Ma in seguito il portavoce del ministro ha smentito la morte del capo del dicastero. Murat ha spiegato che i dimostranti hanno fatto irruzione nel quartier generale locale della polizia, nel secondo giorno di manifestazioni contro il governo, e vi hanno trovato il ministro. A botte, l’avrebbero costretto a emanare un ordine alla polizia a Bishkek di fermare la repressione. Poi sarebbe morto per le ferite riportate.

I manifestanti chiedono le dimissioni del presidente Kurmanbek Bakiyev e protestano anche contro l’aumento del prezzo del carburante, addebitato alla corruzione del governo. La polizia ha usato i lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Le proteste sono iniziate nei giorni scorsi a Talas dove i manifestanti avevano fatto irruzione negli uffici governativi. Ieri tutti i principali leader dell’opposizione sono stati arrestati e il premier Daniyar Ussenov ha decretato lo stato d’emergenza.

«I cittadini dovranno sottostare a misure di sicurezza», ha spiegato una fonte dell’amministrazione della capitale. Gli scontri sono iniziati davanti alla sede dell’opposizione: circa 200 dimostranti hanno bloccato il tentativo della polizia di disperdere l’assembramento, appiccando il fuoco alle auto degli agenti, e poi hanno marciato verso il centro della capitale. La folla, armata con spranghe di ferro, si è via via ingrossata e si è diretta verso la sede della presidenza.

La sede di radio e tv è stata assalita dai dimostranti. Prima le trasmissioni sono state interrotte, poi sono riprese ma ad andare in onda sono stati i militanti dell’opposizione, dice l’agenzia di stampa russa Interfax, con interventi di due-tre minuti ciascuno.

Uno dei dirigenti dell’opposizione, Temir Sariev, ha detto alla radio indipendente Azattyk di aver partecipato a colloqui con il primo ministro Ussenov per cercare una soluzione alla crisi. L’agenzia di stampa statale Kabar ha reso noto che Umurbek Tekebaiev, capo del partito di opposizione Ata-Meken, è stato rilasciato.

Il presidente. Il presidente del Kirghizistan oggi sotto assedio, Kurmanbek Bakiev, era salito al potere solo cinque anni fa sull’onda di un’altra insurrezione popolare che depose l’allora presidente-dittatore post-sovietico Askar Akayev, al potere dall’indipendenza, nel 1991. E che fu soprannominata ‘Rivoluzione dei tulipanì dopo che i media, sulla falsariga di altri rivolgimenti politici degli ultimi anni in area ex sovietica, come quelli in Ucraina («arancione») e in Georgia («delle rose»), l’avevano già bollata con vari epiteti cromatici e botanici, come «rosata», «dei limoni», «di seta» o «dei narcisi».

La rivolta fu scatenata dalle elezioni legislative in due turni del 27 febbraio e 13 marzo 2005, che l’opposizione ritenne viziata da gravi brogli operati dal governo di Akayev, della sua famiglia e del suo clan, accusati di essere a capo di un regime corrotto. Nei giorni successivi le opposizioni occuparono le piazze e anche diversi edifici pubblici in vari centri del Paese centroasiatico, e quando le forze di sicurezza intervennero, gli scontri più violenti si concentrarono soprattutto a Jalalabad e Osh, poi anche nella capitale Bishkek.

Nei giorni della protesta le opposizioni si unirono e, il 24 marzo si verificarono scontri nella capitale, con i manifestanti che, sopraffatta la polizia, occuparono diversi uffici e la tv di stato. Almeno tre persone morirono. Il 26 marzo il nuovo parlamento nominò Bakiev primo ministro ad interim di un governo di transizione, riconosciuto dall’Osce. Il 2 aprile Akayev fu costretto a firmare le sue dimissioni, che annunciò il giorno successivo da Mosca, dove rimase in esilio, e che il parlamento a Bishkek ratificò l’11 aprile.

Il 10 luglio 2005 si tennero elezioni presidenziali che videro la vittoria travolgente, con l’88,9% dei consensi, di Bakiev. Gli osservatori dell’Osce rilevarono miglioramenti rispetto alle elezioni precedenti, ma anche irregolarità. Ma le prime proteste contro di lui, accusato di non mantenere le sue promesse e che nel frattempo aveva modificato la costituzione per accrescere il suo potere, iniziarono già nel 2006. Il nome ‘Rivoluzione dei tulipanì, affibbiato in un discorso dallo stesso deposto Akayev, deriva dal «tulipano di Kauffman», una specie bianca e selvatica scoperta sulle montagne dell’Asia centrale.