L’archivio di Franz Kafka dovrà essere reso pubblico, lo ha deciso il giudice

Pubblicato il 25 Gennaio 2010 - 11:54| Aggiornato il 29 Gennaio 2010 OLTRE 6 MESI FA

L’archivio consegnato da Franz Kafka all’amico Max Brod, perché lo distruggesse, dovrà uscire entro due settimane dalle cassette di sicurezza in cui è sigillato a Tel Aviv. Lo ha deciso un giudice.

Sul contenuto c’è un totale mistero, si è parlato anche di un romanzo finora sconosciuto, oltre a lettere, diari, forse abbozzi di nuovi lavori. L’unica cosa certa è che conteneva anche l’originale del Processo, perché questo prezioso manoscritto nel 1988 è stato venduto a Londra per due milioni di sterline.

Il giallo fa perno intorno a una signora israeliana, morta a 101 anni nel 2008, che lo ha messo sotto chiave, sorda a qualsiasi richiamo, implorazione, supplica della comunità internazionale. Sotto chiave non è la parola esatta, o almeno è un poco riduttiva rispetto alla forma di detenzione subita da quelle carte.

Esther Hoffe, la proprietaria, le teneva nel suo appartamento, piuttosto umido a detta dei giornali, e affollato di cani e gatti. Aveva avuto quel tesoro da Max Brod, nel 1968. L’amico di Kafka era riuscito a fuggire da Praga nel 1939, mettendo fortunosamente in salvo dai nazisti trionfanti se stesso e le preziose carte che andava pubblicando.

In Israele aveva assunto come segretaria tuttofare la Hoffe, che pare fosse diventata per lui qualcosa di più d’una dipendente. Morendo, le aveva lasciato l’archivio. La situazione divenne subito piuttosto complicata (inutile ricorrere al solito aggettivo «kafkiana», ma viene il dubbio che non sarebbe dispiaciuto al grande scrittore, perché sembrava per certi aspetti una replica dei suoi romanzi).

Brod gestiva l’archivio – e del resto è a lui che si deve la pubblicazione delle opere – come un delicatissimo lascito culturale, distribuendo di volta in volta qualche carta a istituzioni accuratamente scelte. Nel ’61 ne aveva anzi ceduto una parte importante alla biblioteca dell’Università di Oxford, su richiesta dei nipoti dello scrittore. La Hoffe, più semplicemente, lo seppellì impedendo a chiunque di metterci le mani, ma non prendendo iniziative particolari salvo qualche tentativo – uno riuscito – di guadagnarci un bel gruzzolo.