Libia a un anno dalla rivolta. Gheddafi è morto ma ancora caos

Pubblicato il 16 Febbraio 2012 - 19:44 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La Libia verde, rossa e nera della bandiera dei Senussi, che ha sostituito il verde monocorde di Gheddafi, e' pronta a celebrare il primo anniversario della rivolta del 17 febbraio: bandiere, caroselli e cortei per ricordare quella scintilla che da Bengasi porto' a otto lunghi mesi di guerra, all'intervento della Nato, fino alla caduta di Tripoli e all'uccisione dell'odiato rais.

Un anno dopo, il paese e' ancora in preda a scontri tribali, regolamenti di conti, a un'economia precaria e a una transizione democratica che procede lentamente. Ma il popolo libico e' determinato a festeggiare con orgoglio e a ricordare il coraggio dei suoi martiri. La manifestazione principale si terra' domani a Bengasi, culla della rivolta di un anno fa, dove – secondo il Tripoli Post – parteciperanno il premier Adbel Rahim al Kib e il presidente del Consiglio nazionale transitorio Mustafa Abdel Jalil. La citta' della Cirenaica, raccontano all'ANSA testimoni locali, e' ''gia' piena di gente e la polizia e' ovunque''. Sabato 18 febbraio inoltre sara' festa nazionale.

Per le celebrazioni, il Cnt ha autorizzato ogni consiglio locale a organizzare la propria manifestazione, ma ha vietato le marce militari. Il timore e' che la festa diventi una dimostrazione di forza dei vari gruppi armati che si contendono la paternita' della fine di Gheddafi o occasione di scontri tra quelle milizie che, secondo Amnesty International, sono ''fuori controllo'' e seminano il terrore nel Paese.

''La fase della ricostruzione presenta incognite e incertezze'', ha riconosciuto anche il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, pur sottolineando i passi avanti compiuti. Il governo transitorio ha da poco presentato la legge elettorale per il voto previsto a giugno (ma passibile di rinvio) per il Congresso nazionale che dovra' redigere la Costituzione e portare a nuove elezioni. Inoltre la Dichiarazione di Tripoli che ha rilanciato le relazioni bilaterali con l'Italia, firmata dal al-Kib e da Mario Monti nella visita di gennaio, contiene uno specifico richiamo al rispetto dei diritti umani. Ma una cosa sono le intenzioni, un'altra quello che poi accade realmente sul terreno, ha ammesso anche il titolare della Farnesina in un'audizione davanti alle Commissioni Esteri congiunte.

Amnesty International continua infatti a denunciare l'uso diffuso di torture e abusi che restano impuniti. I miliziani, spiega Amnesty, credono che la legge sia nelle loro mani, sono alla continua ricerca di vendetta contro coloro che ritengono essere rimasti fedeli a Gheddafi o che abbiano combattuto per lui. Se la prendono con i rifugiati o i profughi sub-sahariani, sospettati di essere ex mercenari del rais, o con intere comunita', come i 30mila libici neri cacciati dalla citta' di Tawargha, in passato usata come base dalle forze lealiste.

Amnesty chiede dunque alle nuove autorita' libiche di spezzare quella catena di violazioni di diritti umani e impunita' ereditata dal regime del rais, avviando indagini e assicurando i colpevoli alla giustizia. ''La prima sfida dei nuovi governanti – si legge nell'appello – deve essere quella di prendere il controllo delle milizie armate''. Ma il governo transitorio, che ha provato con scarso successo a farsi riconsegnare le armi usate durante la guerra di liberazione, non sembra ancora in grado di garantire sicurezza e ordine pubblico.