Mascherine di Stato: il flop di quelle a 50 centesimi a confronto con il modello Taiwan

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Maggio 2020 - 13:16 OLTRE 6 MESI FA
Mascherine di Stato: il flop di quelle a 50 centesimi a confronto con il modello Taiwan

Mascherine di Stato e recinto digitale: il modello Taiwan (Ansa)

ROMA – Mascherine di Stato, c’è modo e modo.

Il modello italiano.

E il modello di nome e di fatto sperimentato nell’isola di Taiwan, separata dalla Cina da un braccio di mare eppure capace di contenere i contagi sotto le 500 unità (su 23 milioni di abitanti) e piangere solo 6 vittime del Covid.

E senza un giorno di lockdown a dispetto delle foschissime previsioni che preannunciavano un bagno di sangue.

Mascherine e salute: costo medio a famiglia + 200 euro

Quello italiano, al netto delle innegabili criticità e dell’eccezionalità dell’evento pandemico, si è tradotto in un ambizioso e suicida piano di mascherine a prezzo calmierato a 50 centesimi, naufragato già l’attimo successivo all’annuncio.

Che, prevedibilmente, ha fatto fuggire a gambe levate produttori e intermediari.

Risultato mascherine introvabili .

O vendute sottobanco a prezzi da borsa nera e costo familiare per spese sanitarie cresciuto a dismisura.

Tra mascherine, guanti, disinfettanti, tamponi, esami sierologici.

“Al di là di casi estremi e truffe, con l’obbligo di utilizzo nella fase 2 delle mascherine il costo medio per famiglia è stato stimato in 200 euro al mese per un nucleo medio – segnala Nicola Borzi sul Fatto Quotidiano -.

Calcolato ai prezzi di mercato pari a 1,5-2 euro a pezzo per le mascherine chirurgiche omologate CE e tra i 3,3 e i 6,5 euro l’una per quelle FFp2 senza valvola”.

Taiwan: mascherine di Stato e “recinto digitale” (tramite telefonini)

A Taiwan non hanno fatto miracoli: sapevano più cose.

Perché la Sars nel 2003 li ha segnati: troppe inefficienze, la comunicazione fra centro e periferia, tra governo e amministratori locali non funzionò.

Perché quello che stava accadendo a Wuhan l’hanno capito prima di tutti gli altri, loro a Li Wenliang, il “whistleblower” cinese censurato e zittito, gli hanno subito creduto, il 1 gennaio già fermavano e tamponavano tutti i passeggeri sospetti in arrivo nell’isola, dieci decisivi giorni prima del lockdown cinese.

Il 20 gennaio mascherine per tutti e zero lockdown

Per cui mascherine come se piovesse in tempi rapidissimi.

E tracciamenti mirati, con i positivi intrappolati nel “recinto digitale” fissato dalla geolocalizzazione dei potenziali soggetti trasmettitori.

“Il 20 gennaio quando ancora tutto il mondo si interrogava sulla natura e la pericolosità del virus, il Comando operativo del governo fissava il prezzo delle mascherine.

E assegnava fondi e personale militare per aumentare la produzione di dispositivi di protezione individuale – riferisce un articolo de L’Unione Sarda a firma Mauro Pili -.

Sempre il 20 gennaio, il governo di Taiwan ha annunciato che aveva sotto il suo totale controllo una scorta di 44 milioni di maschere chirurgiche e 1100 sale di isolamento a pressione negativa”.

La app di contact tracing e la quarantena retribuita

Sul contact tracing a Taiwan sembrano avere idee più chiare anche sulle dispute etiche occidentali sulla privacy.

Gabriella Colarusso di Repubblica ha intervistato un protagonista di questa fase, la 38enne Audrey Tang, ministro del Digitale a Taipei.

“Non abbiamo un’app di contact tracing, ma il sistema Digital Fence (recinto digitale, ndr).

Usiamo il telefono cellulare per monitorare le persone che sono in quarantena perché rientrate da un Paese a rischio.

Il telefono è registrato alle 5 compagnie telefoniche: se si spegne, se non si rilevano movimenti per troppo tempo, o se va fuori dalla posizione indicata nel recinto digitale, le compagnie mandano un sms alla polizia locale o ai gestori di condominio che raggiungono l’appartamento per controllare se la persona ha rotto la quarantena.

Per chi non può isolarsi in casa mettiamo a disposizione degli alberghi.

Chi rispetta la quarantena riceve 30 euro al giorno per i 14 giorni, chi la vìola paga una multa di 1.000 volte tanto”.

(fonti Il Fatto Quotidiano, La Repubblica, L’Unione Sarda)