New York, polizia troppo violenta o tolleranza zero giusta? Il caso Times Square

Pubblicato il 25 Ottobre 2012 - 07:10 OLTRE 6 MESI FA
Darius Kennedy ucciso a Times Square perché fumava uno spinello

NEW YORK – Darius Kennedy è stato ucciso il pomeriggio l’11 agosto 2012 da dodici colpi di pistola: stava fumando uno spinello a Times Square. Sono gli agenti della polizia a fare fuoco sull’uomo, dopo uno strano inseguimento cominciato nella centralissima Times Square di New York e durato solo qualche decina di secondi.

Quando viene abbattuto, Kennedy, 51 anni, di taglia robusta, tiene in mano un coltello mentre si allontana con passo alacre da un nugolo di agenti che lo insegue passo passo. Pochi minuti prima è stato fermato da una poliziotta per un controllo sulla piazza più famosa di New York.

Forse sta fumando della marijuana, forse non ne può più dell’ennesima perquisizione che subisce. E’ sicuro solo che non ci vede più dalla rabbia, rifiuta di essere perquisito, estrae un coltello e si allontana. Muore pochi minuti dopo, sotto gli sguardi attoniti e voyeuristici di una folla di turisti e di newyorchesi che segue la scena e la riprende col cellulare.

La morte di un uomo in pieno centro di New York, documentata da diverse testimonianze video, è immediatamente mediatizzata. Qualcuno si scandalizza per la brutalità dell’uccisione. Com’è possibile che un animale scappato dallo zoo sia narcotizzato con delle frecce, mentre un uomo con evidenti disturbi emotivi sia invece abbattuto in pieno centro da una decina di colpi di pistola? Altri si congratulano con la polizia di New York. E’ stato ucciso un pericoloso drogato che stava mettendo a rischio l’incolumità dei cittadini.

Le autorità di New York partecipano alla comunicazione pubblica che segue il dramma. Poche ore dopo la morte di Kennedy, il capo della polizia, Raymond Kelly, afferma che la risposta della polizia è stata “secondo le regole”. Prima di aprire il fuoco e di ammazzarlo, gli agenti avrebbero cercato di immobilizzare l’uomo con dello spray urticante per cinque o sei volte. Il sindaco Michael Bloomberg dice: «Aveva un coltello e stava inseguendo delle persone». Entrambe queste affermazioni sono in realtà sconfessate dai numerosi video postati su Internet. Sono errori ed inesattezze, forse manipolazioni, che mettono in dubbio la professionalità e l’umanità delle forze dell’ordine della Grande Mela.

Un’austera fama di severità e di inflessibilità è stata guadagnata dalla polizia newyorchese grazie alla “tolleranza zero”, la politica di sicurezza messa in pratica negli anni novanta dal sindaco Rudolph Giuliani. Se questa politica ha contribuito ha ridorare il blasone di una città associata in passato alla sporcizia e al vagabondaggio, ha anche moltiplicato i casi di abusi e di violenza.

La polizia di New York è inquadrata secondo la struttura di un business, con degli obiettivi quantitativi da rispettare. Questa insistenza sulle cifre spinge da un lato a falsificare e gonfiare i dati, e dall’altro ad assumere un atteggiamento particolarmente aggressivo. Negli anni, le perquisizioni per strada, da molti considerate invasive e umilianti, sono passate da 97 000, nel 2002 a 70 000 nel 2011. Secondo le statistiche la maggior parte dei perquisiti sono afroamericani o originari dell’America Latina, perfino in quei quartieri dove le due minoranze rappresentano una parte trascurabile della popolazione.

Un amico dell’assassinato spiega che Darius Kennedy odiava la polizia perché si sentiva perseguitato. Afro-americano, robusto, con i capelli rasta, fumatore di marijuana, era il «sospetto perfetto» ed era costantemente fermato dagli agenti.