Omicidio Perugia. Ex agente Fbi difende Amanda: “Non ha ucciso lei Meredith”

Pubblicato il 3 Settembre 2010 - 14:29 OLTRE 6 MESI FA

Amanda Knox

Dagli Usa arriva una nuova difesa per Amanda Knox. Secondo l’ex agente Fbi Steve Moore la giovane americana, condannata lo scorso dicembre per il delitto di Meredith Kercher a Perugia, è innocente.

Per Moore, che avrebbe agito per conto proprio, c’è di più: le prove contro Amanda, ribattezzata “foxy knoxy” sarebbero state manipolate perché fosse giudicata colpevole: «Le prove presentate in aula non si limitano solo a dire che Amanda non ha ucciso Meredith, ma anche che non potrebbe comunque averlo fatto. Sono prove difettose e sono state manipolate ad arte», ha detto al programma tv della Abc “Good Morning America”. Moore è convinto che se il processo si fosse spostato in un’aula americana la maggior parte delle prove sarebbe stata giudicata «inammissibile».

Chi ha ammazzato allora la studentessa inglese? L’ex agente sostiene che sia stato Rudy Guede, ivoriano condannato a 30 anni (pena ridotta a 16 in appello), anche se in carcere c’è pure Raffaele Sollecito, condannato a 25 anni. «In una scena del crimine come quella di Meredith, dove c’era così tanto sangue, è come se qualcuno lo avesse buttato su tutto il pavimento. E se Amanda, il suo fidanzato e quel Guede fossero stati coinvolti, ci sarebbero tre serie di impronte digitali, tre serie di impronte di piedi, campioni di capelli e di Dna. Sarebbe stato una sorta di ‘zoo delle prove’ E, invece, in quella stanza c’erano solo le impronte digitali, di piedi e i campioni di saliva e di capelli di una sola persona: Rudy. Quindi, in nessun modo gli altri due avrebbero potuto essere in quella camera senza che la loro presenza fisica risultasse evidente».

Raffaele Sollecito (condannato a 25 anni) e l’ivoriano Rudy Guede (inizialmente condannato a 30 anni, diventati poi sedici in appello). E proprio Guede, a detta di Moore, sarebbe il responsabile del brutale assassinio della giovane inglese. DUBBI – Una convinzione che è anche degli stessi avvocati della Knox, che per tutto il dibattimento avevano sostenuto che non vi fossero prove certe che la ragazza fosse con Meredith, mentre restano i dubbi anche su alcune impronte digitali rinvenute nell’appartamento e mai identificate, come pure sulla presunta arma del delitto, ovvero il coltello da cucina trovato in casa di Sollecito con il Dna della Kercher sulla lama e della Knox sul manico, che, sempre a detta di Moore, non sarebbe «della misura giusta rispetto alle ferite, troppo piccole».

L’ex agente Fbi avrebbe condotto le indagini sull’omicidio in forma privata, spinto dalla moglie, convinta che Amanda fosse innocente. Lui, invece, almeno inizialmente, era sicuro che la Knox fosse colpevole, salvo poi cambiare idea a mano a mano che acquisiva le prove (a novembre dell’anno scorso ha ottenuto il video della scena del crimine, le foto dell’autopsia e diversi documenti legali). «Se il nastro fosse arrivato davanti a una corte americana», ha spiegato Moore, «la maggior parte delle prove sarebbe stata giudicata inammissibile. Non ho alcun interesse finanziario in questa indagine né voglio scrivere un libro su questa storia. A novembre ci sarà l’appello e farò tutto quello che posso per aiutare Amanda, ho una figlia della sua stessa età e so di trovarmi davanti a un’ingiustizia: non c’è niente che indichi che la Knox abbia avuto qualcosa a che fare con quell’omicidio». E mentre gli inquirenti italiani tacciono, la famiglia della ragazza ora in cella ha parlato tramite il portavoce, David Marriott, per ribadire di non aver mai incontrato Moore e che l’ex agente «ha agito per conto proprio».