Pakistan, il disastro senza fine di un intero paese finito sott’acqua

Francesca Cavaliere
Pubblicato il 30 Agosto 2010 - 13:29| Aggiornato il 3 Ottobre 2012 OLTRE 6 MESI FA

Morti di fame e di sete, di colera, annegati, quando non colpiti da malattie respiratorie causate dai vapori che esalano dall’acqua e dal fango resi putridi da quanto c’è dentro, da diarree acute, dalla scabbia: l’alluvione in Pakistan finora ha sommerso un quinto del Paese (l’area colpita è grande quanto l’Italia), ucciso 1600 persone, ha fatto circa 20 milioni di senzatetto e più di 4 milioni di sfollati tra cui almeno 72mila bambini denutriti che rischiano di morire di fame o di malattie causate principalmente dall’acqua contaminata. E’ la peggiore inondazione registrata negli ultimo 83 anni.

La benedizione delle attese piogge monsoniche si è trasformata in una vera maledizione che ha colpito l’intera Nazione a cominciare dal Nord e dal Centro, dove ora le acque hanno iniziato a defluire, per finire al Sud, dove le piogge torrenziali stanno continuando e dove il fiume Indo ha rotto gli argini minacciando i centri abitati vicini. Nella provincia sud orientale del Sindh infatti, negli ultimi giorni sono state evacuate 4 città, l’ultima, qualche ora fa, Sujawa, per un totale di circa mezzo milione di persone costrette a raggiungere con ogni mezzo di trasporto gli accampamenti preparati dall’esercito.

Il giornale tedesco Spiegel on line, attraverso il suo corrispondente che ha intervistato un uomo del posto,  racconta i dettagli impressionanti dell’effetto alluvione a Noswera, una città del Nord ovest del Pakistan, 80 chilometri dal confine afghano, tra le prime e più duramente colpite dall’alluvione iniziata circa tre settimane fa.

Qui, su 100.000 abitanti, 250 sono morti travolti dai flutti, alcune case sono state completamente sommerse sino in cima ai tetti e sui muri di altre che sono rimaste in piedi c’è il segno di dove l’acqua era arrivata.

Ad una settimana dalla fine delle violente piogge, che tuttavia hanno continuato in maniera più debole, in alcune strade l’acqua era ancora alta un metro e, ammucchiato per terra o che galleggiava nelle pozzanghere c’era di tutto: materiale da costruzione proveniente dalle case distrutte, spazzatura, animali morti, roba da mangiare, pezzi di vestiti e di mobili, valigie, coperte e persino elettrodomestici. Qui, come nel resto delle zone colpite, molta gente soffre di dolori di stomaco o ha contratto malattie dei polmoni e della pelle. Dopo che la furia delle acque si è calmata, gli abitanti hanno cercato di salvare dalle loro case, o meglio, da ciò che restava di esse, mattoni e qualsiasi altra cosa che potesse servire a rimetterle in piedi.

Qui, dopo una settimana della catastrofe non era ancora arrivato nessun aiuto dal governo, ricevuto invece solo dalle organizzazioni islamiche, come la Fondazione al-Khidmat che ha fornito acqua potabile attraverso un centro di assistenza di fortuna, da altre organizzazioni accusate di avere legami con i talebani e da privati cittadini, puntualmente assaliti durante la distribuzione, che hanno portato del riso in sacchetti di plastica e dell’acqua potabile in vecchie bottiglie di limonata.

Nelle ultime ore, a quanto riferiscono le fonti del Pentagono, gli Usa avrebbero deciso di raddoppiare il numero di elicotteri impiegati nell’emergenza inondazioni del Pakistan ed invierebbero altri 18 velivoli ad aggiungersi ai 17 attualmente utilizzati per distribuire i soccorsi e portare in salvo gli alluvionati. La comunità internazionale, inoltre, avrebbe stanziato oltre 800 milioni di dollari di aiuti.

Rimane la difficoltà a raggiungere alcune zone, infatti la minaccia di attentati alle organizzazioni umanitarie da parte dei talebani, secondo quanto rende noto l’agenzia Fides, si è purtroppo concretizzata con la morte di 3 operatori uccisi fra il 24 e il 25 agosto dagli estremisti islamici nella valle dello Swat, nel nord del Paese, mentre portavano soccorsi alle vittime delle alluvioni.