Pena di morte: esecuzioni in calo nel 2010, è la Cina il Paese dove il boia uccide di più

Pubblicato il 28 Marzo 2011 - 14:37 OLTRE 6 MESI FA

ROMA –  Più esecuzioni in Cina che nel resto del mondo: anche nel 2010, il boia più ‘attivo’ tra i 58 Paesi in cui la pena di morte è ancora in vigore è quello di Pechino. E’ quanto emerge dal rapporto annuale stilato da Amnesty International, secondo cui l’anno scorso sono stati almeno 527 i giustiziati contro gli almeno 714 del 2009.

Le cifre mostrano ”un calo” generale delle vittime del boia ma che non includono le ”migliaia” di esecuzioni avvenute in Cina, Paese che ”continua a mantenere il segreto sul proprio uso della pena di morte”, evidenzia l’organizzazione. Proprio a Pechino, però, ”si ritiene” che siano ”migliaia” i giustiziati ”per un ampio spettro di crimini, che include anche delitti commessi senza violenza, e attraverso procedimenti estranei ai giusti standard occidentali”.

E, secondo il rapporto, la pena di morte l’anno scorso si è concentrata soprattutto in due regioni, ”Asia e Medio Oriente”, dove ”una minoranza di Stati che continua sistematicamente ad usarla è responsabile di migliaia di esecuzioni, sfidando il trend globale contro la pena capitale”.

Sul podio dei Paesi che hanno utilizzato di più il boia, oltre alla Cina figurano l’Iran con ”almeno 252” esecuzioni, la Corea del Nord (almeno 60 i giustiziati) e lo Yemen (53). Al quinto posto, seguiti dall’Arabia Saudita (27 esecuzioni) si collocano invece gli Stati Uniti, con 46 condanne eseguite, mentre ”110” sono state le condanne capitali inflitte, pari comunque a ”un terzo” delle sentenze di questo tipo pronunciate ”nella meta’ degli anni Novanta”. Un ”certo numero di Paesi”, evidenzia ancora Amnesty, ”continua a prevedere condanne a morte per delitti legati a droga, crimini economici, relazioni sessuali tra individui consenzienti, blasfemia”.

In Iran ”una persona è stata messa a morte per un crimine commesso quando era minorenne, 14 persone sono state giustiziate in pubblico” mentre ”sarebbero piu’ di 300” le esecuzioni non riconosciute da Teheran di cui pero’ Amnesty ha avuto ”credibili” testimonianze, gran parte delle quali provenienti dalla prigione di Vakilabad, a Mashhad. In Guinea Equatoriale, invece, ”quattro uomini sono stati messi a morte a una sola ora dalla sentenza emessa da una corte militare”. Ma il 2010, sottolinea il rapporto ha registrato anche significativi sviluppi verso ”l’abolizione globale” della pena capitale. Il presidente della Mongolia, ad esempio, ”ha annunciato una moratoria sulla pena capitale” e per la ”terza volta” l’Assemblea Generale dell’Onu si ”e’ appellata ad una moratoria globale contro le esecuzioni”.

Che, tuttavia, nel 2010 sono avvenute in 23 Paesi, contro i 19 del 2009. Un numero che, per Amnesty, resta eccessivo. ”Un mondo senza la pena di morte non è solo possibile, è inevitabile. La domanda è, quanto tempo ancora ci vorrà?”, è la conclusione di Salil Shatty, segretario generale dell’organizzazione internazionale per i diritti umani.