Giappone. Paura radiazioni, chi torna da Tokyo è “contagiato”?

Pubblicato il 18 Marzo 2011 - 13:30 OLTRE 6 MESI FA

TOKYO – Chi torna da Tokyo è contagiato? Può esserlo? Le domande sulle radiazioni continuano ad accavallarsi mentre il ministero della Salute ha provveduto  a mettere i paletti con controlli serrati ai cibi importati come pesci, crostacei, caviale, soia, alghe, tè verde che arrivano dal Giappone confezionati dopo l’11 marzo, data del sisma.

Gli italiani che sono partiti da Tokyo possono essere pericolosi o ancora possono aver assorbito radiazioni da un compagno d’aereo? «Per essere pericoloso in una situazione del genere la persona in questione dovrebbe essere un pompiere che ha lavorato in una delle centrali “esplose”, aver assorbito una quantità enorme di radiazioni, senza aver alcun disturbo (eventualità assai improbabile) ed essere sfuggito ai programmi di protezione e quarantena del governo giapponese» sottolinea Riccardo Calandrino direttore del servizio di Fisica Sanitaria dell’Istituto San Raffaele di Milano.

«Non può essere certo il caso di una qualsiasi persona che, per esempio, arriva da Tokyo e ci si siede accanto sul nostro aereo in partenza da Bangkok per Roma», aggiunge al Corriere della Sera.

«Ci si può sottoporre a un normale esame del sangue e poi ripeterlo per alcune settimane per misurare il numero di granulociti, un particolare tipo di globuli bianchi», spiega ancora il professor Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di onco-ematologia dell’ospedale Bambin Gesù di Roma.

I campioni per le analisi vengono inviati ai laboratori dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata (la cui sede centrale è a Foggia) e dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (con sede a Roma) che seguono specifici protocolli tecnici per le verifiche necessarie in questo caso. Esiste invece la possibilità di essere «contagiati» magari durante un volo aereo da un passeggero proveniente da una zona radioattiva?  La ragione? «Un puro scrupolo in realtà, perché danni acuti, cioè immediati, al midollo osseo (che produce globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) procurati dalle radiazioni dovrebbero solo riguardare chi è stato davvero vicino al luogo del disastro e dovrebbero essere accompagnati da altri disturbi, come vomito, sanguinamenti eccetera». E per chi ha subito esposizioni di questo tipo che terapie ci sono? «In caso di aplasia, cioè “distruzione” del midollo osseo, oggi ci sono specifici fattori di crescita come il G-Csf, che stimola la produzione di granulociti e quindi può in qualche misura compensare il danno. Ci sono anche fattori di crescita specifici per l’eventuale riduzione delle piastrine. Nei casi più gravi si deve invece ricorrere al trapianto di midollo, ed eventualmente all’utilizzo di cellule staminali da cordone ombelicale»

«Le tute bianche, che si vedono nelle fotografie, servono a chi opera nelle zone del disastro per proteggere pelle e vestiti dalla radioattività ambientale. Chi le indossa, quando rientra in un ambiente chiuso deve lasciarle fuori in modo da non contaminarlo e deve anche farsi una buona doccia. I dosimetri servono invece a dirci quante radiazioni assorbiamo e sono una forma di difesa indiretta», aggiunge Carandino.