Russia, parolacce proibite ai detenuti: è divieto di “fenya”

di Maria Elena Perrero
Pubblicato il 16 Gennaio 2016 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
Russia, parolacce proibite ai detenuti: è divieto di "fenya"

(Foto d’archivio)

MILANO – E’ proibito ai detenuti dire parolacce e usare lo slang criminale: il divieto arriva nelle prigioni russe, anche se non è dato sapere come verrà fatto rispettare. Riguarda la cosiddetta “fenya” (феня), linguaggio volgare diffuso in ambito criminale, basato sulla grammatica russa con un vocabolario che varia nel tempo e che ha subito molti influssi dalla cultura Yiddish, e che il ministero della Giustizia russo in passato ha più volte cercato di stroncare, sempre invano.

Durante il periodo sovietico la “fenya” si è diffusa molto, è penetrata nella lingua russo parlata e ha perso parte del suo carattere criptico. Tutt’ora, però, è legata all’ambiente criminale o a quello carcerario. Per questo motivo si possono trovare termini di questo slang anche in romanzi scritti da autori che hanno passato del tempo in carcere, cosa tutt’altro che insolita in Russia. Finirono in carcere, giusto per citare i casi più noti, Fedor Dostoevskij e Andrej Sacharov, ma anche Anton Cechov passò del tempo a stretto contatto con i detenuti, quando dovette redigere una relazione sulla situazione nel gulag dell’isola di Sachalin.

Insomma, la fenya è insita nel linguaggio russo da secoli. Adesso, scrive Andrew Kramerjan sul New York Times, il divieto nelle prigioni è stato rinnovato e inasprito, e proibisce ai detenuti di “socializzare con altri individui usando slang o espressioni volgari, minacciose, umilianti o calunniose”.

Quel che non è chiaro nel divieto è come dovrà essere fatto rispettare. Le prigioni russe, infatti, retaggio degli antichi gulag, sono delle specie di fortini con grosse celle che somigliano più a delle baracche, in cui sono stipati anche ottanta condannati, lasciati al loro destino giorno e notte. Vige la legge del più forte, e le guardie interagiscono bene poco, e ben poco possono per fermare eventuali comportamenti scorretti.

La misura si inserisce in quella stretta contro il turpiloquio inaugurata nel 2014 da un’analoga misura del presidente Vladimir Putin: il divieto di parolacce ed espressioni sconce nelle arti, compresi romanzi e opere teatrali, a meno che non siano segnalate come destinate prettamente ad un pubblico adulto.

Quel divieto aveva fatto discutere molti scrittori, che si sentivano privati della loro libertà di esprimersi. Alcune parole russe hanno migliaia di varianti e sono radicate nella letteratura e nella cultura russe. Dostoevskij scrisse che è possibile esprimere “persino pensieri analitici profondi” con una parola russa comune e versatile che indica anche il pene.