Siria, venerdì di collera e di sangue

Pubblicato il 29 Aprile 2011 - 19:06 OLTRE 6 MESI FA

BEIRUT – Era evidentemente in errore il regime di Damasco, se pensava che le riforme attuate o promesse e la brutale repressione delle manifestazioni che ha finora causato la morte di centinaia di persone avrebbero dissuaso i siriani dallo scendere anche oggi in strada: a decine di migliaia hanno marciato in tutto il Paese, scandendo ancora una volta: ”Il popolo vuole rovesciare il regime”. Ma ancora una volta, alcuni di loro ci hanno rimesso la vita.

A Homs, secondo gli oppositori, le forze di sicurezza hanno ucciso nove persone, mentre secondo il ministero degli interni tre poliziotti sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco. E ancora, almeno 15 persone, secondo quanto hanno riferito diversi testimoni, sono state uccise dai proiettili delle forze di sicurezza che cercavano di disperdere migliaia di manifestanti a Daraa, la città di 120 mila abitanti epicentro della rivolta, di cui è divenuta ormai il simbolo. L’esercito, ha dal canto suo affermato che quattro soldati sono stati uccisi e due rapiti da ”un gruppo terrorista”, nella stessa città.

Proprio Daraa – di fatto posta sotto assedio sin da lunedì scorso dalla quarta divisione meccanizzata guidata dal fratello del presidente Assad – è stata la chiave delle manifestazioni di oggi. Nell’esortare i siriani a partecipare ad un nuovo ‘‘venerdì della collera”, gli attivisti avevano lanciato lo slogan: ‘In solidarietà con Daraa, dove il 15 marzo tutto è cominciato, e dove da giorni sono state tagliate acqua, elettricità e telecomunicazioni, mentre all’obitorio sarebbero stati portati da lunedì 83 cadaveri, di cui molti di donne e bambini, secondo quanto ha detto Tamer al Jahamani, un importante avvocato della stessa città costiera.

”Il presidente Bashar vuole fare a Daraa come fece suo padre Hafez ad Hama”, hanno detto in molti, ricordando la repressione con i carri armati, e persino con la forza aerea, della rivolta guidata nel 1982 dal movimento dei Fratelli Musulamani, che secondo varie stime causò la morte di oltre 10 mila persone.

Il movimento dei Fratelli Musulmani, che è fuorilegge in Siria, è peraltro tornato oggi a farsi sentire, tramite un comunicato in cui rivolgendosi ai siriani ha esortato: ”Non lasciate che il regime ponga sotto assedio i vostri compatrioti, chiedete con una voce sola la libertà e la dignità, non permettete al tiranno di ridurvi in schiavitù, Dio è grande”.

Nelle decine di filmati video diffusi via internet dagli ”attivisti per la democrazia” siriani non c’è traccia di slogan islamici, ma ci sono certo molte immagini significative. Ad esempio, in molti si possono vedere foto o statue del presidente Bashar e anche di suo padre Hafez, abbattute, e prese a calci dai manifestanti. Un po’ come dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003.

Ci sono poi molte informazioni, diffuse soprattutto via Tweeter e difficilmente verificabili, che affermano di ”cecchini del regime appostati sui tetti”, o di bambini tra i manifestanti ”uccisi dai soldati”, di cui vengono però citati nome e cognome. E poi si afferma che le manifestazioni ”hanno luogo in 50 città e villaggi”. Altre fonti più autorevoli parlano comunque di oltre 34, tra cui Homs, Hama, Latakia, Banias e tante altre, compresa Damasco. Secondo il regime, si tratta però di ”una campagna mediatica di istigazione senza precedenti contro la Siria, allo scopo di mettere in dubbio le intenzioni del Governo e capovolgere la realtà, incoraggiando azioni di violenza ed estendendo i disordini al maggior numero possibile di città”, come ha affermato il ministro degli esteri Walid Muallim.

”In tale situazione, era naturale che il governo adottasse le misure necessarie per preservare la sicurezza dei cittadini”, ha aggiunto Muallm, secondo cui l’esecutivo si è visto ”costretto a mettere in campo le proprie energie per rispondere all’appello dei cittadini a salvarli, e ristabilire l’ordine nel Paese”. 250 siriani dei villaggi al confine con la Turchia hanno perè oggi cercato di lasciare le zone di guerra e di riparare in territorio turco: le forze di sicurezza di Ankara hanno bloccato tutti, donne e bambini compresi.