Somalia, Kenya, Etiopia: nel 2011 si muore ancora di fame

Pubblicato il 28 Luglio 2011 - 17:39 OLTRE 6 MESI FA

MOGADISCIO – Quasi 12 milioni di africani, corrispondente ad un sesto della popolazione italiana, rischiano di morire per la carestia e la siccità che sta colpendo il Corno d’Africa. E quando si parla di carestia non si pensi a qualcosa di astruso che non riguarda il mondo occidentale. Perché se dall’altra parte del Mediterraneo si muore di fame, letteralmente, è normale che poi quelle stesse persone che sono riuscite sfuggire alla morte cerchino di sopravvivere, e quindi di andare dove, almeno, non si muore di fame.

Per chi non capisse l’esatto significato della situazione, basta aprire la pagina che Wikipedia dedica alla parola “carestia”: “E’ un fenomeno nel quale una larga percentuale della popolazione di una regione o di un Paese è così denutrita che morire di inedia, o altre malattie correlate, diviene sempre più comune. Malgrado le più abbondanti risorse economiche e tecnologiche del mondo moderno, la carestia colpisce ancora molte parti del mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo. La carestia è tradizionalmente associata al naturale ciclo del cattivo raccolto in agricoltura e alle malattie infettive; tra le cause umane alla guerra e al genocidio. Nei decenni passati una visione più graduale si è focalizzata su circostanze politiche ed economiche che portano alla carestia moderna. Le moderne agenzie di assistenza categorizzano le varie gradazioni di carestia secondo delle scale di carestia”.

Ora questa situazione si sta verificando in Somalia, Etiopia e Kenya. Dopo aver visto morire il proprio bestiame, unica fonte di sopravvivenza, molte di queste persone, per lo più nomadi e pastori, hanno cercato la salvezza nel campo profughi di Dadaab, in Kenya, e di Dollo Ado, in Etiopia. Tra i dodici milioni che rischiano la morte, due milioni sono bambini.

Preoccupa soprattutto la situazione somala, dove la situazione è aggravata dall’assenza di un governo centrale, da 20 anni di guerra e dalla presenza dei miliziani islamici Shabab che rifiutano gli aiuti umanitari. Oggi circa la metà della popolazione somala, pari a 3,7 milioni di persone, ha bisogno di assistenza: la metà di loro sono hanno meno di 18 anni, e tra questi uno su cinque ha meno di 5 anni. Dall’inizio dell’anno sono già morti più di 400 bambini, per una media di 90 bambini deceduti ogni mese. E a Mogadiscio, denunciano le ong locali, ogni giorno sei o sette bimbi non riescono a sopravvivere.

Gli appelli delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative ormai non si contano più. L’Onu sta cercando di raccogliere 1,6 miliardi di dollari (1,1 miliardi di euro) per “salvare vite umane”.

“La nostra preoccupazione principale sono i bambini – ha detto nei giorni scorsi il Direttore generale del Programma alimentare mondiale (Pam), Josette Sheeran – abbiamo visto arrivare bambini talmente deboli e malnutriti che hanno davvero poche possibilità di cavarsela, neppure il 40% delle probabilità. È la peggiore catastrofe che abbia mai visto”.