Strage Fort Hood: mistero sui moventi del maggiore Hasan

Pubblicato il 6 Novembre 2009 - 19:16 OLTRE 6 MESI FA

 

Nidal Malik Hasan

È mistero fitto sui motivi che hanno spinto il maggiore e psichiatra dell’esercito statunitense, Nidak Malik Hasan, ad aprire il fuoco giovedi nella base militare di Fort Hood, Texas, uccidendo 13 suoi compagni e ferendone 30. Svariati membri della base hanno dichiarato ai media che mentre sparava all’impazzata Hasan gridava ”Allah akbar” (Dio è grande), ma secondo il comandante della base, generale Robert Cone, gli inquirenti non l’hanno ancora accertato.

Secondo l’Associated Press, alcuni compagni di Hasan che lavoravano con lui hanno detto che Hasan spesso manifestava la sua rabbia per le guerre in Afghanistan e Iraq ed a volte aveva discussioni con suoi commilitoni favorevoli all’impegno militare Usa.

Gli inquirenti stanno ancora cercando di capire come uno psichiatra dell’esercito in procinto di essere trasferito in Afghanistan possa aver compiuto la strage più sanguinosa mai avvenuta in una base militare americana. Hasan è rimasto ferito nella sparatoria ed è ricoverato in stato comatoso in ospedale guardato a vista. 

«Quest’uomo ha sentito il bisogno di attaccare e uccidere i suoi compagni, soldati che erano nella base assieme a lui”, dichiarato il ministro della sicurezza interna Janet Napolitano», che ha aggiunto: «Un’inchiesta è in corso da parte delle autorità preposte e la priorità delle indagini è di accertare quali sono state le sue motivazioni».

Un imam della moschea dove Hasan si recava a pregare regolarmente ha dichiarato che il killer è di fede musulmana dalla nascita, molto devoto, e che gli è sempre sembrato un soldato modello, mai dedito a discorsi estremisti, e che nella moschea indossava sempre la sua uniforme.

Secondo quanto se ne sa, Hasan avrebbe dovuto presto essere spedito in Afghanistan. Una sua vicina di casa, Patricia Villa, ha dichiarato che Hasan le avrebbe detto che sarebbe partito venerdì. Un altro vicino ha detto che Hasan non mostrava di essere preoccupato o irato per il suo trasferimento. Edgar Booker, un militare in pensione di 58 anni che lavora in una caffetteria nella base, ha dichiarato: «Gli ho chiesto cosa provasse ad andare in Afghanistan, dove sono tutti musulmani come lui, ed ha risposto che sarebbe stato ‘interessante”».

A Fort Hood si muore fin da quando è cominciata la guerra in Iraq. Dal 2003 ad oggi sono stati infatti ben 175 i suicidi: ragazzi che tornano dal fronte con quella che i medici definiscono Ptsd (post traumatic stress disorder) e che decidono di farla finita. Sono sopravvissuti alle autobombe di al Qaeda e ai kamikaze imbottiti di tritolo, ma non ce l’hanno fatta a gestire la tensione psicologica lasciata da quella violenza.

Come psichiatra del Walter Reed Army Medical Center di Washington il dottor Malik Nidal Hasan ne aveva visti passare a decine di ragazzi così. E secondo gli investigatori non è affatto da escludere che il recente suo trasferimento proprio a Fort Hood, e la notizia di dover partire per l’Afghanistan, abbiano fatto da “detonatore” per il suo equilibrio scosso dai traumi degli altri.

Solo nel 2009 nella base texana, la più grande base Usa al mondo, di suicidi accertati ce ne sono stati dieci. Un numero relativamente contenuto se si pensa che a Fort Hood vivono circa 50 mila persone, ma significativo di una crescente tensione per le truppe di rientro dal fronte. Il Pentagono ha confermato nelle sue statistiche che la media di Ptsd tra i soldati sfiora il 30%.

Un numero altissimo. Anche per questo a Fort Hood sono stati avviati da anni programmi specifici per aiutare le truppe: programmi per i soldati che partono, programmi per quelli che tornano, programmi per i loro familiari. Dal 2001, quando è cominciata la guerra in Afghanistan, e dal 2003, quando è cominciata quella in Iraq, la base ha perso in combattimento centinaia di uomini.

Ognuno di questi caduti ha lasciato come una scia dietro di sé per le vie di questa base che non è come le altre. È una città: nove scuole (sette elementari e due medie), dai 30 ai 40 mila militari, più altre 10-17 mila persone contando i familiari. Un via vai continuo di gente che parte per andare a fare la guerra, gente che resta ad aspettare, gente che torna a casa perché la leva è finita, gente che piange perché dalla guerra il soldato é tornato ferito, o traumatizzato. O morto.

Per questo capita di tanto in tanto che a Fort Hood qualcuno si ammazzi. Tra le forze armate Usa solo nel 2009 i suicidi sono stati 117, contro i 103 dell’anno scorso. Tra le basi militari americane il record dei suicidi per il 2009 spetta a Fort Campbell, in Kentucky, con 16 vittime. Ma, senza contare i 13 lasciati sul terreno da Malik Nidal Hasan, dal 2001 ad oggi nessuna base Usa ha contato tanti morti tra i suoi soldati quanti Fort Hood.