Terrorismo, in carceri italiane 500 minori a rischio Jihad

Terrorismo, in carceri italiane 500 minori a rischio Jihad
Terrorismo, in carceri italiane 500 minori a rischio Jihad

ROMA – Terrorismo, nelle carceri italiane ci sono 500 minori che rischiano di essere reclutati dai fanatici islamici per la jihadattratti da quella “guerra santa” soprattutto attraverso internet. L’allarme arriva da Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia. Intervistato da Gianluca Di Feo di Repubblica, Roberti sottolinea il legame tra terrorismo e mafia, tra terroristi e trafficanti di esseri umani e di droga. Come nel caso di “Mister Marlboro”, all’anagrafe Mokhtar Belmokhtar: gestisce traffici di sigarette, armi e droga nel Sahara, ma è anche affiliato ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico e ha contribuito a fondare un gruppo vicino al Califfato, i Murabitun, responsabile degli ultimi attentati nel Mali. E’ lui il il prototipo dei nuovi jihadisti, dice Roberti.

Mafiosi e terroristi hanno lo stesso modo di agire, sottolinea il procuratore: coltivano interessi convergenti e spesso sono in affari.

“L’autofinanziamento jihadista, spiega Roberti, avviene prevalentemente con il traffico di stupefacenti, gestito insieme alla criminalità organizzata: gli attentati di Madrid nel 2004 sono stati pagati così. Nell’ultimo anno poi sono state sequestrate tonnellate di droga su navi lungo la rotta Casablanca-Tobruk e che erano sicuramente gestite da soggetti legati allo Stato Islamico. L’Is è un punto di svolta, perché incarna l’intreccio tra terrorismo e criminalità: è una realtà mafiosa che sfrutta il controllo del territorio per attività di imprenditoria criminale come il traffico di droga, il contrabbando di petrolio e di reperti archeologici, i sequestri di persona”.

Per questo motivo il magistrato è favorevole alla depenalizzazione delle droghe leggere: 

“Non faccio una proposta, pongo un problema: oggi ci sono molte più risorse investigative sul fronte delle droghe leggere, ma il consumo continua ad aumentare. Perché invece non concentriamo le forze migliori per il contrasto agli stupefacenti pesanti e soprattutto per aggredire chi li finanzia? Noi sequestriamo i carichi e colpiamo le persone che li smistano, ma ai santuari finanziari del narcotraffico non ci arriviamo mai. Bisogna modificare obiettivi e procedure in modo da agire, soprattutto con operazioni sotto copertura, per bloccare i soldi non più a valle – come facciamo oggi confiscando i beni dove vengono investiti i proventi – ma a monte. La chiave è tutta nella lotta al riciclaggio. Anche contro il terrorismo”.

I terroristi ovviamente non si limitano al traffico di droga. Uno dei più fiorenti è quello di migranti che vogliono attraversare il Mediterraneo.

“Ho davanti gli ultimi dati. Con il contributo della Dna, tra gennaio 2015 e aprile 2016 sono stati arrestati 530 scafisti e 45 trafficanti. Partono prevalentemente dalla Libia – dall’inizio dell’anno 18.578 persone su 19.315 vengono da lì – dove non possono non essere controllati dallo Stato Islamico. Ci sono diversi casi di terroristi entrati in Europa sui barconi, ma il vero rischio è che una parte delle persone che arrivano da noi finiscano per radicalizzarsi nei prossimi anni. Anche su questo fronte bisogna rispondere garantendo diritti: abolire il reato di immigrazione clandestina, ridurre le attese per le domande d’asilo, combattere lo sfruttamento dei lavoratori extracomunitari”.

E il rischio di radicalizzazione è altissimo per i minori musulmani in carcere:

“Metà dei reclusi nei penitenziari minorili italiani sono musulmani. In cella ci sono circa cinquecento ragazzi, abituati a stare su Internet come tutti i loro coetanei. E per questo possono facilmente entrare in contatto o di correre pericoli inferiori ai francesi e ai belgi. Probabilmente è vero: la comunità musulmana nel nostro con i siti che predicano la Jihad: sono a rischio altissimo di radicalizzazione. In Italia  In Italia pensiamo di correre pericoli inferiori ai francesi e ai belgi. Probabilmente è vero: la comunità musulmana nel nostro paese è diversa, le seconde generazioni qui sono ancora adolescenti. Ma se non interveniamo subito, tra cinque-dieci anni ci troveremo nella stessa situazione di Bruxelles o delle banlieue parigine. Già oggi la minaccia crescente sono i giovani che dall’Italia vogliono andare a combattere in Siria, superiore al numero che conosciamo. Un fenomeno che stiamo cercando di fermare”.

 

 

 

 

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