Un diamante (blu) è per sempre: 20 anni di spy story, torture e omicidi tra Riyadh e Bangkok

di Veronica Nicosia
Pubblicato il 24 Settembre 2010 - 12:26| Aggiornato il 1 Agosto 2011 OLTRE 6 MESI FA

A raccontare la “maledizione del diamante blu”, storia di loschi intrighi di spie, torture ed omicidi che da 20 anni divide le autorità thailandesi e saudite per la scomparsa di un gioiello, è il giornalista de La Stampa Alessandro Ursic. Tutto cominciò quando nel 1989 un giardiniere thailandese del principe saudita Faisal, figlio dell’allora re Fahd, ruba i gioielli della principessa, che oltre a rubini “grossi come uova” comprendevano un diamante blu da 50 carati di valore inestimabile.

La Thailandia intervenne con rapidità ed efficienza, ritrovando i gioielli che erano stati portati nel paese e restituendoli ai legittimi proprietari, che rimasero molto sorpresi nello scoprire che le gemme erano false. E’ nota la corruzione della polizia all’interno del paese, così i sauditi decidono di inviare un loro uomo d’affari a Bangkok per investigare. Le indagini saudite in terra straniera si risolvono con la morte del console e di altri due funzionari, assassinati nel febbraio del 1990, e con la scomparsa del detective inviato da Riyadh.

Passa il tempo e gioielli simili a quelli rubati vengono avvistati al collo delle signore thailandesi, mogli degli uomini più potenti del paese, suscitando le ire dei sauditi che cancellano i visti dei lavoratori thailandesi nel regno come protesta infruttuosa contro Bangkok. Intanto il super-poliziotto Chalor Kerdthes fa torturare il gioielliere, reo di aver riciclato i gioielli rubati, e verrà arrestato per la morte in un “incidente stradale” dei familiari della vittima delle sue torture, poi rivelatasi un’esecuzione con colpi di pistola alla testa.

Da 15 anni la storia tace, ma ora i sauditi insorgono per l’ennesima ingiustizia: Somkid Boonthanom, uno dei cinque incriminati per la morte del detective Mohammad al Ruwaili, non solo viene assolto, ma riceve la promozione a vicedirettore della polizia nazionale e tutti gli onori che gli spettano per aver eroicamente rifiutato il posto “per il bene delle relazioni tra i due paesi”, tra cui anche le lodi del vicepremier per il suo “sacrificio”.

Così mentre gli animi dei sauditi sono scossi da rabbia e sete di giustizia, la Thailandia appare insensibile e poco curante della vicenda che come tutte le maledizioni che si rispettino ha causato morte e dolore a tutti coloro che hanno avuto a che fare con l’inestimabile e preziosissima pietra, il cui color blu ha tinto di giallo una vicenda intricata, dai retroscena che probabilmente non saranno mai svelati.