Tunisi, il ritrovo dei blogger che hanno “creato” la primavera araba

Pubblicato il 3 Ottobre 2011 - 16:52 OLTRE 6 MESI FA

TUNISI, 3 OTT – Molti blogger arabi si sono dati appuntamento a Tunisi per il loro terzo incontro nel bellissimo complesso della Cité de la Science, che si affaccia sul boulevard intitolato a Mohamed Bouazizi, il giovane commerciante ambulante che, dandosi fuoco, ha dato la prima spallata al potere di Ben Ali.

Le targhe che recano il nome del primo martire della ”rivoluzione dei gelsomini” hanno sostituito, nell’euforia seguita alla caduta del regime, quelle che celebravano il 7 novembre, giorno della presa del potere da parte del dittatore.

Una morte che sarebbe passata quasi inosservata, sotto la museruola imposta all’informazione tunisina, se non ci fossero stati i blogger, che l’hanno prima riferita, quindi celebrata come il primo passo della ribellione.

Oggi, 3 ottobre, a Tunisi si è aperta la terza assise annuale dei blogger arabi che, nella modernissima sala che ne accoglie i lavori, mostrano per intero la coscienza di avere contribuito alla ”primavera araba”. Qualcuno va oltre, dicendo che senza di loro le rivolte non ci sarebbe state, ma è un pizzico di presunzione che si può anche concedere a chi, a modo suo e con gli strumenti della Rete, ha scritto un pezzo importante della storia recente dei Paesi arabi, dando, certamente, una sua verità, ma squarciando il velo di silenzio e ipocrisia che ha ammantato l’informazione ufficiale degli ultimi decenni.

Vengono, oltre che dalla Tunisia, anche dall’Egitto, dal Marocco, dall’Algeria, dal Marocco e qualcuno viene da Paesi in cui per loro è ancora necessario celarsi dietro nickname per evitare problemi seri.

A seguire i lavori, tra decine di giovani che, mentre ascoltano i loro colleghi, scrivono sul pc per alimentare il loro blog, non sembra ci sia la ricerca di una piattaforma, piuttosto l’esigenza di andare avanti, di continuare perché, se ci sono state le ”rivoluzioni, ora non ci può fermare”. Perché, dicono, in ogni rivoluzione c’è insito il rischio di una ”controrivoluzione”, portata avanti da chi è maestro nella gestione della politica, dei rapporti con i cittadini, che possono ridiventare solo soggetti.

Sono tutti molto giovani (pochi gli over 30) e calibrano con attenzione le parole, per evitare che ci siano fraintendimenti tra coloro che poi, sulla Rete, vogliono farsi vessilliferi di un nuovo modo di essere gente tra la gente. La parola che ricorre più spesso, negli interventi dal palcoscenico della sala e nei capannelli non è ”democrazia”, ma ”partecipazione”, alla politica, ma anche all’economia, alla cultura.

L’ideologia che li contraddistingue – con qualche piccola eccezione – è molto chiara e qualcuno si fa prendere la mano dall’entusiasmo, soprattutto quando su un gigantesco schermo passano quadri che celebrano le altre rivoluzioni, con petti esposti ai fucili dei soldati, quest’ultimi emblema della repressione di un potere che, campeggia in una scritta, fa del ”divide et impera” (declinato in più lingue) il comportamento quotidiano.

Chi non appartiene alla galassia di questa informazione forse rischia di trovarsi a disagio, perché il linguaggio è abbastanza criptico, se è vero che ”la crisi è complessa, ma anche multi-livello”. Ma vogliono continuare per la loro strada, per una democrazia che sia rappresentativa, libera, aperta e senza regole dettate dal potere economico.