Giancarlo Dotto su Leonardo Bonucci: “Alla Juve l’abito fa anche lo stronzo”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 8 Ottobre 2014 - 19:05 OLTRE 6 MESI FA
Bonucci, Giancarlo Dotto: "Alla Juve l'abito fa lo stronzo"

La pagina di Dagospia

ROMA – Il dopo Juve-Roma non finisce mai. Giancarlo Dotto, giornalista e noto tifoso della Roma, attacca dalle pagine di Dagospia, i bianconeri e in particolar modo Leonardo Bonucci.

Che cosa accomuna tre onesti ragazzotti di campagna, gente semplice, dalla callosa gavetta e dalla tribolata sintassi, Peppe Marotta da Varese, Leonardo Bonucci da Viterbo e Pavel Nedved da Cheb, paesotto ceco di confine, a forte densità germanofona, e per questo molto caro ad Adolf Hitler che tenne qui uno dei suoi più belligeranti discorsi?

Facile, la divisa bianconera. L’abito, si sa, fa l’intonaco. Ma, nel caso della Juventus, l’abito fa spesso anche lo stronzo. Se ne contano a centinaia di casi. Non si capisce perché. Sta di fatto che la Vecchia Signora, soprattutto da quando accomoda le chiappe nel bollore erotico del nuovo stadio, somiglia sempre più alla mamma di Psycho.

E’ come se un logos malefico riprogrammasse le menti, tipo plagio. Arrivi a Corso Galileo Ferraris 32 che sei una persona normale e, dopo un po’, diventi Bettega o Giraudo. Se sei già Moggi in natura, sei facilitato, non c’è problema. E, cioè, un mostro d’arroganza, un pitbull pronto a sbranare le creature a Parco Valentino, che va in giro ostentando t-shirt, tweet e cazzate da machoman del tipo: “Per noi conta solo vincere”.

Si salvano da questa maledizione solo i veri campioni, anime illese, cito Zidane, Ancelotti (che alla Juventus i suoi stessi tifosi chiamavano “maiale”), Pirlo e lo stesso Buffon. Ci aggiungo Pogba, non so fino a quando, e lo squisito Llorente. Ma, se ti chiami Bonucci e non sai di esserlo, proprio perché lo sei, allora il disastro è definitivo.

Il guaio di Bonucci, mite ragazzo dell’Alto Lazio che teneva un tempo lo sguardo basso come la gente umile della sua terra, è quando finisce nelle spire del “Motivatore”. Dramma totale e irreversibile. Peggio di Scientology. Basta guardare le tre righe dell’ultimo tweet dello juventino per capire dov’è finita la sua testa. Sotto un treno. Ha smisurato il suo ego, ma si è dimenticato di ampliare la scatola cranica.

Il treno si chiama Alberto Ferrarini, di professione appunto “mental coach”, in realtà spacciatore volumetrico e seriale di cazzate. Di quelle che la psicologia positivista americana faceva circolare già negli anni ’50 per sostenere le sue anime sempliciotte e affrante nel duro match quotidiano con la vita. Robaccia del tipo: “Ehi ragazzo, svegliati, sei un perdente perché hai in testa l’ingiustizia”.

Oppure: “Guardati allo specchio, cosa vedi? Io vedo un guerriero”. E quello, poveraccio, che vede solo un coglione. La psiche, insomma, trattata come una roba da idraulici o da manuali. Uno, per capirci, Ferrarini, che gira con le caramelle all’aglio nella saccoccia per farle mangiare a Bonucci e soci e trasformarli in guerrieri. Se non è Wanna Marchi, poco ci manca.

Il Ferrarini ha trovato la sua cuccagna nel sottobosco culturale di certa boria pedante (ve lo immaginate, che so un Van Basten o un Boban, un Falcao o un Maradona, uno Zoff o uno Scirea, ma anche un Klose, un Balzaretti o un Tommasi, che si fanno impapocchiare dalle formule gratta e vinci di questi parolai?). Va detto che, se il Ferrarini ha creato il mostro, ha cominciato prima con il creare se stesso. E’ stato, cioè, il mental coach di se stesso. Va considerata un’attenuante decisiva.

Gabriele Oriali, team manager della Nazionale sempre più in sintonia con Antonio Conte, ha dettato la linea nell’aula Magna del centro tecnico federale: «Ogni qualvolta i giocatori varcano il cancello di Coverciano devono dimenticare le tensioni del campionato». Il caso Bonucci è scoppiato all’improvviso.

Il cecchino della Roma nella notte tra lunedì e martedì aveva postato su Twitter e Instagram la foto dell’esultanza dopo lo sgambetto ai giallorossi, accompagnata da un messaggio rumoroso: «Sciacquatevi la bocca». Parole rafforzate da tre punti esclamativi e condite da altri commenti da macho: «Sino alla fine forza Juve, vincere è l’unica cosa che conta».

Un colpo basso per Conte che il giorno del raduno, davanti al gruppo al completo e poi pubblicamente, era stato chiaro: «In Nazionale non si parla di campionato, siamo qui per preparare bene le partite con Azerbaigian e Malta».

L’amarezza del c.t. è forte perché il tradimento è stato perpetrato da uno dei suoi fedelissimi. Bonucci conosce le regole della casa e le conosce da tempo, ma non ha resistito. Il tecnico è stato informato dell’accaduto durante l’allenamento della mattina e prima del pranzo ha ripreso duramente il difensore, che ha chiesto scusa.

Ma a colpire è stato il processo pubblico a cui Bonucci è stato sottoposto. Oriali, in conferenza stampa, ha parlato davanti al diretto interessato e non è stato tenero. «Quella di Leonardo è un’uscita improvvida e infelice. C’è un regolamento non scritto che vale e non può essere violato. Accettiamo le scuse di Bonucci che ha capito di aver sbagliato, ma certi episodi non devono più succedere». Parole forti e toni duri davanti al giocatore che ha abbozzato un sorriso nervoso e non ha potuto far altro che adeguarsi.

Bonucci resta in gruppo e venerdì sera a Palermo contro l’Azerbaigian sarà titolare, ma da qui in avanti nessuno dovrà più sbagliare. Chi lo farà, tornerà a casa. «Cosa succederà la prossima volta? Speriamo non ci sia una prossima volta», se l’è cavata Oriali. Ma i giocatori sono stati avvisati. E il discorso vale anche per Balotelli, che qui non c’è, ma prima o poi potrebbe arrivare e che di Twitter fa un uso smodato.

Nell’Italia di Conte non c’è posto per certi errori di superficialità. L’abuso dei social non è gradito, tanto più che Bonucci ha twittato dopo la mezzanotte, quando in teoria un giocatore in ritiro dovrebbe pensare a dormire. «A un certo punto della giornata è meglio disconnettersi», il tackle del mediano Oriali. Leo si è consegnato. Ha accettato il processo e la sgridata anche se ha difeso la bontà della sua uscita, che ha scatenato l’ira dei romanisti e rinfocolato la polemica.

«Ho il massimo rispetto di chi indossa i colori giallorossi e di chi li porta nel cuore. Chi mi conosce sa che quello è il mio modo di esultare dedicato agli juventini e ai miei amici. Non volevo attaccare nessuno. Un gol così, magari, non lo segnerò mai più e ho pensato di prolungare la felicità…». Facendo incavolare Conte.

I social, la forma più moderna di comunicazione, a volte possono essere una trappola. «Sta all’intelligenza delle persone usarli bene», ha spiegato Bonucci. Lui era convinto di averlo fatto. Chi lo conosce sa che davvero festeggia così i suoi gol, tranne quello alla Roma nella scorsa stagione «perché mia moglie era incinta e avevo messo il pallone sotto la maglia». Ma non tutti ne sono a conoscenza. E il caso è scoppiato. Il nuovo Conte vuole pace e tranquillità. E feroce concentrazione. E il fatto che a sgarrare sia uno che conosce il suo stile e i suoi metodi lo ha mandato fuori dai gangheri.