Abbigliamento, dai marchi stranieri addio all’Italia, chiudono centinaia di negozi: puntano sul commercio online

di Enrico Pirondini
Pubblicato il 11 Settembre 2022 - 13:03 OLTRE 6 MESI FA
Abbigliamento, dai marchi stranieri addio all'Italia, chiudono centinaia di negozi: puntano sul commercio online

Abbigliamento, dai marchi stranieri addio all’Italia, chiudono centinaia di negozi: puntano sul commercio online

Abbigliamento, dai marchi stranieri addio all’Italia, le maggiori catene di abbigliamento se ne vanno. Perché?

Ufficialmente è colpa di una tenaglia crudele: post Covid e inflazione. In realtà i colossi, tanto popolari e creativi,  hanno deciso la retromarcia per un cambio di strategia commerciale: basta punti vendita. Meglio virare sul commercio online o crescere nei Paesi emergenti come Ecuador, Kosovo, Macedonia del Nord.

ABBIGLIAMENTO, PER GLI SVEDESI È CURA DIMAGRANTE

La rete di vendita di  H&M (Hennes & Maurtz)  da tempo sta sforbiciando la sua mappa commerciale italiana.  Ha cominciato in piena pandemia abbassando la serranda a 7 negozi di cui due a Milano. E non si è più fermata. L’ultimo della serie (per ora, almeno) è un negozio di Piacenza.

L’azienda svedese guidata dalla ceo Helena Helmersson sta spulciando, uno ad uno, i punti vendita distribuiti lungo lo Stivale, da Torino a Palermo. La cura dimagrante è impietosa e tocca un po’ dappertutto. Nel 2021 la sciura  Helena, appena nominata, ha cominciato a sfoltire in tutto il pianeta. E ha tagliato 250 negozi. Quest’anno siamo già a quota 272 (a fronte di 94 nuove aperture). Tremano i circa 900 produttori indipendenti (anche asiatici), tremano i commessi e dintorni. Da Stoccolma gli ordini sono inappellabili.

ANCHE GLI SPAGNOLI  DI ZARA TAGLIANO STORE

La multinazionale della Galizia – un colosso con 162mila dipendenti, 7.200 negozi nel mondo – in verità ha cominciato due anni fa con l’annuncio choc di un taglio i 1.200 store. Il ceo Oscar Garcia Maceiras, entrato nel marzo del 2021 nel gruppo Inditex che gestisce vari marchi (Zara, Zara home, Bershka, Stradivarius,Pull and Bear, Massimo  Dutti, ecc.), ha detto che “tanti negozi fisici non sono più necessari”. In un anno ne ha tagliati 325. In Italia è in corso un ridimensionamento notevole.

FUGA TOTALE DEGLI AMERICANI DI GAP

Il marchio storico dell’abbigliamento USA invece se ne va del tutto. Sparisce. Ad ottobre chiuderà i battenti anche il suo store di Milano in corso Vittorio Emanuele. Gli altri punti vendita del colosso californiano (135 mila dipendenti, quartier generale a San Francisco), saranno acquistati dal gruppo italiano OVS che ha già 1.200 negozi in Italia. La Public company americana  fondata nel 1969 – oggi è la principale azienda di abbigliamento degli Stati Uniti – ritira dal mercato italiano i suoi famosi cinque Marchi (l’eponimo Gap, Banana Republic, ecc.) e si butta sull’e-commerce anche per diminuire il costo del lavoro.

SINDACATI DELL’ABBIGLIAMENTO PREOCCUPATI. E NON SOLO

In testa la Fisascat-CISL che tra l’altro è impegnata in queste settimane col rinnovo dei contratti collettivi. Teme forti contraccolpi . E lo dice chiaramente:”I rincari della energia, le bollette salate influiranno sulla capacità di fare utili delle imprese”. E prendono atto di un mondo post-pandemico che sta cambiando molte cose.

Studi recenti hanno certificato che l’espansione del commercio dell’abbigliamento online sta impattando in modo particolare le piccole imprese “che rappresentano l’85% del settore “. Ma più dei timori dei rincari, preoccupano i manager la potenziale riduzione della capacità di spesa dei consumatori.

“Capacità a rischio perché i prezzi sono sempre più alti e c’è una forte contrazione dei salari reali” come si legge nel report della Bain & Company, la prestigiosa società di consulenza strategica di  Boston (13 mila dipendenti, uffici in 37 Paesi). Un quadro destinato fatalmente ad influenzare le urne del 25 settembre.