“Apartheid” precari, il manifesto di Montezemolo. “I vecchi un anno in più al lavoro”

Pubblicato il 8 Aprile 2011 - 12:44 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Domani i lavoratori precari scenderanno in piazza per una grande manifestazione. Agitazioni, incatenamenti, blitz davanti alle sedi Inps, scontate adesioni di principio, hanno preceduto l’appuntamento. Il rischio è che quanto più sarà rumorosa o arrabbiata, tanto più l’iniziativa non supererà la soglia di una lodevole testimonianza folkloristica. E lo sarà certamente se la politica non offrirà soluzioni e non semplici scappatoie. Lo ricordano Luca di Montezemolo, Pietro Ichino e Nicola Rossi in un intervento pubblicato sul sito di Italia Futura e rilanciato dal Corriere della Sera: ”Il loro tempo è adesso, il nostro dovere è ora”. Quasi un manifesto, addirittura un programma elettorale se le voci di una sempre annunciata “discesa in campo” dell’uomo Ferrari dovesse tradursi in realtà. La presenza del giusvalorista Ichino e dell’economista Nicola Rossi offre solidi agganci a una revisione riformista del mercato del lavoro, posizione presente ma un po’ nascosta nel Partito Democratico di cui i due studiosi sono esponenti sopportati o delusi (Rossi è uscito dal partito).

Cosa dice la lettera, quali sono le proposte stringenti per offrire un futuro di stabilità alle richieste dei precari? L’obiettivo è ambizioso: “Riscrivere il diritto del lavoro in modo che tutti i nuovi rapporti da qui in avanti possano essere costituiti a tempo indeterminato: anche quelli che fino a oggi sono stati l’espressione patologica della precarietà (contratti a progetto, partite iva fasulle), garantendo la piena copertura di eventuali oneri economici aggiuntivi per le imprese piccole e grandi, trattando nella stessa maniera l’operatore privato e l’operatore pubblico”.

Montezemolo, Ichino e Rossi concedono che l’attuale condizione di precarietà giovanile è un vero e proprio “apartheid”, ” l’altra faccia della medaglia della condizione di lavoro di chi nella cittadella fortificata del lavoro regolare è riuscito a entrare”. Un conflitto generazionale che va superato, evitando però scorciatoie o sanatorie. Il comparto pubblico non può essere considerato un luogo deputato all’occupazione assistenziale. Non si assume ex lege.

La strada da imboccare, stretta e impervia ma ineludibile, è quella di ”un contratto di lavoro a protezione crescente per tutti i futuri lavoratori dipendenti (ferme restando le ovvie eccezioni a contenuto formativo o dei contratti a termine per i casi di sostituzioni temporanee o di punte stagionali). Occupazione a tempo indeterminato per tutti e piena protezione contro le discriminazioni e contro i licenziamenti disciplinari ingiustificati ma nessuna inamovibilità per motivi economici e organizzativi. In caso di licenziamento, trattamento complementare di disoccupazione ‘alla scandinava’, contribuzione figurativa per i periodi di disoccupazione, assistenza nel mercato del lavoro più efficace e controllo sulla effettiva disponibilità del lavoratore alla nuova occupazione”.

Ma in concreto, come superare l’impasse attuale? La copertura della maggiore spesa dovrebbe essere realizzata “attraverso un atto di solidarietà intergenerazionale: un anno (o anche meno) in più al lavoro per i padri in cambio di una concreta prospettiva di stabilità e di una pensione decente per i figli”. Gli oneri monetari dalle imprese a seguito del cambio di regime (valutabili in media e in termini prudenziali in circa lo 0,3% della retribuzione lorda) andrebbero supportati attraverso una riduzione di pari importo di alcune voci di contribuzione.”