Se Apple fosse stata italiana, 25 mld $ in più li beccherebbe il Fisco

Pubblicato il 21 Marzo 2012 - 09:28 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Se Apple fosse stata italiana…sarebbe stata più povera di 25 miliardi di dollari. Un morso enorme alla mela più famosa del mondo, più grosso di quello impresso sul logo simbolo della creatività applicata alla tecnologia. Come la storia anche l’economia non si fa con i se, ma la provocazione lanciata dal Sole 24 Ore è utile per misurare quanto sia pesante la mano del fisco italiano, a livelli record nel mondo. Un euro su due in Italia lo devolviamo al fisco. E con una manovra sbilanciata tutta dal lato delle entrate la pressione fiscale raggiungerà il 45,5% del Pil nel 2013. Nel 2012 si attesterà al  45,1% dal 42,4% del 2010. Il Centro studi di Confindustria sostiene che “la pressione effettiva, che esclude il sommerso dal denominatore, supererà  abbondantemente il 54%”. Esattamente il 53,8% ovvero “il limite a cui arriverebbe la quota sul Pil delle entrate fiscali e contributive se venisse eliminata tutta l’evasione senza toccare le aliquote”.

Il successore di Steve Jobs, attuale capo di Apple Tim Cook ha annunciato che l’azienda ha in cassa qualcosa come 97,6 miliardi di dollari, che utilizzerà per distribuire dividendi, per finanziare ricerca e acquisizioni, per riappropriarsi di 10 miliardi di azioni Apple (buy back). Per questo spera di replicare per la terza volta il successo di iPad per rimpinguare la cassa con ulteriori iniezioni di liquidità che appare senza limite. Venerdì sbarca nei negozi italiani e di altri 23 paesi. La terza generazione del tablet di Apple è uscita negli Usa e in un’altra dozzina di paesi lo scorso venerdì, e ha già venduto tre milioni di pezzi. Non è ancora record, ma ci va vicino. Il nuovo iPad riuscirà a bissare il successo delle due generazioni precedenti, con 55 milioni di pezzi venduti in 24 mesi?

Dai dati di bilancio Apple risulta che negli ultimi cinque anni l’azienda di Cupertino ha versato all’erario americano 20,9 miliardi di dollari. Pagando aliquote comprese tra il 24,2% e 31,75%. Riuscendo a pagare un’aliquota inferiore rispetto a quella media degli Stati Uniti, che si attesta intorno al 35%. Il principio fiscale in America, soprattutto all’inizio, è di premiare chi fa più business, chi al momento è all’avanguardia tecnologica. Da noi vige il principio opposto: più sei bravo, più fai profitti, più ti stango: è una differenza culturale, prima che economica. In senso etico quella europea predilige la giustizia, quella americana si ispira a principi utilitaristici (se non ti metto i bastoni tra le ruote corri di più e alla fine la crescita è più sostenuta).

Se invece di Cupertino, uno spirito geniale per l’It con senso degli affari si fosse insediato, per dire, a Urbino, le cose sarebbero andate diversamente. Applicando l’aliquota media calcolata da Confindustria relativa alla pressione fiscale sulle aziende italiane pari al 58% nel 2011 Apple avrebbe dovuto versare, solo negli ultimi cinque anni, ben 24,7 miliardi di dollari in più. Se poi si considera la stima ancor più gravosa per le imprese elaborata dalla Cga di Mestre e pari al 68,5% Apple si troverebbe oggi in cassa 33 miliardi in meno.