Dietro l’art. 18: fannulloni, ladri, tabù o pretesti e lotta di potere?

Pubblicato il 22 Febbraio 2012 - 09:53 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – L’articolo 18 rappresenta una linea del Piave dei diritti dei lavoratori come dice compatta la Cgil e mezzo Pd? O un tabù come sostiene l’altra metà del Pd rappresentato da Veltroni? E’ davvero un ostacolo agli investimenti, come profetizza Mario Monti? O, come dice la Marcegaglia alle sue ultime uscite da presidente di Confindustria, l’iniqua protezione che impedisce di mandar via fannulloni, ladri e assenteisti? L’inattesa recrudescenza dei furori da battaglia campale sulla norma che stabilisce il reintegro fa venire il sospetto che l’articolo 18 rappresenti anche, e soprattutto a un passo da una sospirata riforma, un alibi, un pretesto, un parlare a nuora perché suocera intenda.

La norma riguarda metà dei lavoratori italiani, nelle aziende con meno di 15 dipendenti non viene applicata (non viene applicata nemmeno al personale di sindacati e partiti politici, se è per questo). Le cause per il reintegro sono centinaia rispetto alle 160 mila cause di lavoro. Ognuna delle parti, Governo, sindacati, confindustria e partiti sembra recitare una parte in commedia, strumentalizzando la vicenda per fini propri. Il Governo, che non ha giustamente mai mostrato atteggiamenti tatcheriani per farla pagare al sindacato una volta per tutte, vuole lo scalpo dell’articolo 18 per attenersi rigidamente alla lettera della Bce, vera fonte politica del programma di governo: non avevano forse i tecnici del Tesoro fatto circolare una stima secondo cui l’eventuale abolizione dell’articolo incriminato varrebbe addirittura 200 punti di spread?

Tuttavia, sul solco di una sperimentata vocazione italiana alla concertazione ci si era riuniti intorno a un tavolo, per affrontare il tema mercato del lavoro in tutta la sua complessità. Perché allora Monti ha detto chiaramente che la riforma sarebbe comunque uscita anche senza l’accordo con i sindacati? L’imbarazzo del Pd è enorme e costringe Bersani a mettere in discussione il sì del suo partito i assenza di accordo con i sindacati.  E’ o non è una delle tre gambe che sorregge il suo governo? Il caso di Confindustria è emblematico. Tutti conoscono la sua posizione, quello che sconcerta è che alla vigilia del confronto decisivo il suo presidente sia entrata a gamba tesa, platealmente per offendere organizzazioni che difendono milioni di iscritti.

Non ha senso? Ce l’ha: si combatte una partita nella partita, la successione ai vertici di Viale Astronomia. Si volta pagina, ci si accredita, ci si conta, si cerca di imporre qualcuno al posto di qualcuno altro che magari raccoglie più consensi al quale si vuol sbarrare la strada (Bombassei contro Squinzi, Fiat “minaccia” ritorni). Legittimo. Meno legittimo utilizzare l’articolo 18 per surriscaldare ulteriormente l’ambiente. Tanto più che le proposte su cui si ragionava con più forti chance di successo, riguardavano la sospensione dell’articolo 18 per i nuovi assunti per i primi tre anni: è nella schiera dei giovani in apprendistato che iniziano a lavorare che si nasconderebbero ladri e fannulloni ?

Il sindacato non può ammainare la bandiera dell’articolo 18 perché rappresenta la sua ragione sociale: nel senso che chi ne usufruisce alimenta la platea dei suoi iscritti. Cioè la sua forza, anche economica. Da ultimo il Pd: la sortita a freddo di Walter Veltroni drammatizza l’eterna battaglia interna per il controllo del partito. Minoritario tra i Democratici, il suo intervento estremizza la questione dividendo il partito non tra riformisti e laburisti, ma tra montiani e anti-montiani, un modo per preparare le prossime elezioni. Che c’entra con l’articolo 18?