Statali, figli di un dio maggiore: “Illicenziabili”, parola di Griffi

Pubblicato il 28 Marzo 2012 - 12:53 OLTRE 6 MESI FA

Il ministro Filippo Patroni Griffi (foto LaPresse)

ROMA – Il licenziamento per motivi economici non si applica nel settore pubblico. Punto. Lo ha ribadito il ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi. Sospiro di sollievo per i dipendenti statali, plauso riconoscente dei sindacati, riserve e obiezioni sparse per una presa di posizione che potrebbe contrastare con l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e ostacolare una razionalizzazione del settore pubblico. Le dichiarazioni del ministro erano attese soprattutto da Cgil, Cisl e Uil e anche dal Pd, ansioso per le ripercussioni eventuali di un’estensione dell’articolo 18 agli statali e l’apertura di un ennesimo e a quel punto esiziale conflitto interno. Il ministro Fornero se ne era “lavata le mani”, nel senso che ironizzando sulla sua personale fatica per far accettare la riforma del lavoro aveva declinato l’impegno caricandolo sulle spalle del ministro competente. Era un “no” condizionato: in futuro nulla vieta che qualcuno ci metta le mani.

Filippo Patroni Griffi, destinatario della patata bollente, ha spazzato via i dubbi residui con una lettera aperta al quotidiano romano Il Messaggero. Gli statali stiano tranquilli, perché la normativa che li riguarda esiste già ed è ben disciplinata. Il licenziamento per motivi economici non “può trovare applicazione nel pubblico”, in quanto in questi casi c’è “una disciplina ad hoc”: scatta, infatti, una serie di procedure “che portano alla mobilità dei lavoratori presso altre amministrazioni e alla eventuale collocazione in disponibilità con trattamento economico pari all’80% dell’ultimo stipendio per due annualità”. Stop, fine delle trasmissioni.

Contro, o comunque per chiarire meglio la questione, si è schierato l’economista Tito Boeri, gradito a sinistra, almeno fino a quando non metta in dubbio certezze e diritti acquisiti. Per Boeri la riforma dell’articolo 18 si trascina dietro un ripensamento dell’intera materia dei licenziamenti anche nel pubblico. La riforma, “quindi, inevitabilmente coinvolge anche i lavoratori pubblici, a meno che venga scritto esplicitamente che non si applica a loro”. Ci vorrebbe insomma, per Boeri, “un dispositivo ad hoc”.

A livello costituzionale si potrebbe configurare un vero rebus senza provvedimenti espliciti in riferimento al pubblico. Secondo la giurisprudenza in vigore non è così semplice, visto che la Corte di Cassazione (il livello più alto di somministrazione delle sentenze) ha più volte stabilito che lo Statuto dei lavoratori si applica anche al settore pubblico. Il Testo unico del 2001 ha sancito la parità con il settore privato, peraltro dopo che nel ’93 era stata stabilita la natura di tipo privato del contratto con la pubblica amministrazione. Questa parificazione era servita come misura più favorevole al dipendente pubblico nei casi di risarcimento rispetto a un danno subito. Il Testo Unico ha fatto di più: ha recepito integralmente la legge 300 del 1970, ossia lo Statuto dei Lavoratori, in cui, ovviamente è compreso l’articolo 18.

Anche sulla flessibilità in entrata qualche chiarimento sarebbe auspicabile. Paolo Pirani, della Uil, ritiene che sia “giusto chiarire come stanno le cose: Patroni Griffi fa una puntualizzazione sulle differenze normative tra pubblico e privato”. Aggiungendo che “c’è un uso improprio nella Pubblica amministrazione dei precari, c’è la reiterazione per molti anni dei contratti a tempo determinato, dei co.co co che sono rimasti solo lì e c’è la spesa notevole, pari a 1,2 miliardi secondo la Corte dei Conti, per le consulenze. Quindi, di fatto, c’è già un aggiramento delle norme inaccettabile”. Anche per la Cgil le priorità nel pubblico da affrontare sono “precarietà, ammortizzatori, nuovo modello contrattuale e rinnovi contrattuali”. Ma, alla fine della fiera, dopo l’entrata c’è l’uscita e il nodo licenziamenti nel settore pubblico (ovvero come disciplinarli, con indennizzo o reintegro) verrà al pettine anche per i figli di un dio maggiore.