Tabù art. 18, Pd un caso freudiano. Ma oggi si decide che fine fa la Cig

Pubblicato il 20 Febbraio 2012 - 11:13 OLTRE 6 MESI FA

Il responsabile economico del Pd Fassina (foto LaPresse)

ROMA – Al tavolo del Welfare il piatto forte di inizio settimana è la riforma degli ammortizzatori sociali, ma lo spauracchio dell’articolo 18, che si materializzerà solo dopo un altro paio di incontri, oscura in partenza il resto del menù, succulento o indigeribile si vedrà. Governo e parti sociali conducono la trattativa al Ministero del Welfare, i partiti ne svolgono una parallela, con il Pd in particolare che si spacca sull’annosa questione che divide riformisti e laburisti e il Pdl che osserva interessato con la speranza di berlusconizzare Monti.

Le parole di Veltroni a favore di una modifica sostanziale sull’articolo 18 e sulla necessità di non lasciare Monti alla destra, hanno suscitato la reazione immediata e prevista. Stefano Fassina, il responsabile economico del Pd, dunque della segreteria Bersani, affida alla sua pagina Facebook un preciso, circostanziato, duro atto d’accusa contro il dirigente che gioca da solo, non segue le indicazioni di squadra, che anzi sembra tifare per l’avversario. Fassina misura le parole, spera che l’interlocutore non l’accusi di averlo accusato di “intelligenza con il nemico”.

Considerato che in tempo di guerra per questo reato è prevista la fucilazione, non è esattamente un invito a proseguire la discussione. La linea del partito, è il ragionamento, è chiara, la tua posizione è minoritaria quindi rispetta le gerarchie. E sul “riformismo” di Monti, di cui peraltro loda l’azione necessaria, positiva ma contingente, Fassina mantiene uno scetticismo obbligato, quello non è un governo di sinistra, se così non fosse tanto varrebbe allearsi tutti insieme, Pd, Pdl e Terzo Polo e presentarsi così alle prossime elezioni, con tanti saluti alla politica e alla democrazia dell’alternanza.

Veltroni aveva evocato il Siegmund Freud di “Totem e tabù” per infondere coraggio ai suoi colleghi di partito e non arroccarsi nella difesa dello status quo togliendo la bandiera di partito dall’articolo 18. La sortita, freudianamente, rimette il Pd in lista d’attesa per una visita dallo psicanalista. In effetti, seppure la posizione minoritaria di Veltroni era conosciuta, stupisce il timing dell’intervento, giusto a ridosso della trattativa. Trattativa difficile, per l’opposizione della Cgil, che però stava progressivamente incanalandosi sui giusti binari. Il tavolo “plenario” come lo chiama il Sole 24 Ore, è alla sua quarta puntata: in quelle precedenti la discussione su apprendistato e flessibilità in entrata era approdata a buoni punti di convergenza tra una sponda e l’altra del tavolo.

Oggi tocca agli ammortizzatori sociali. Da una parte la cassa integrazione per i lavoratori di aziende che attraversano crisi reversibili, dall’altra l’indennità di disoccupazione per quelli che invece perdono il lavoro. Il Governo intende limitare e circoscrivere il ricorso alla cassa integrazione e introdurre un sistema universale di tutele per chi perde il posto legato a doppio filo con le politiche attive (chi non accetta un nuovo impiego perde il sussidio). Sparirebbe la cassa integrazione straordinaria, verrebbe introdotto il reddito dei disoccupati con indennità e sussidi.

Per il sindacato le obiezioni non sono poche. Primo, è necessario non smantellare il sistema di protezione dei lavoratori che perdono il lavoro proprio in un momento come questo di recessione e proprio mentre tutti gli indicatori prevedono altre massicce chiusure di fabbriche. Secondo non crede che il Governo sia in grado di reperire le risorse necessarie alla costituzione di un nuovo sistema di tutele, leggi reddito e sussidi generalizzati. Dal Governo, e questo è un punto di mediazione importante, sostengono che “almeno per 18 mesi” non ci saranno sconvolgimenti sull’attuale sistema, che ha salvato dalla disoccupazione 1,5 milioni di lavoratori (pari a 225mila posti full-time) nel 2011, secondo le stime della Uil su dati Inps, più del doppio rispetto al 2008. E per il 2012 il sindacato stima 323mila posti a tempo pieno a “rischio”.

Il nodo riguarda quindi una riforma che deve tener conto degli stati di crisi. Prima del 2008 il sistema si autoalimentava, i contributi delle imprese in entrata pareggiavano la cassa integrazione in uscita. Negli ultimi 4 anni lo Stato ha speso qualcosa come 30 miliardi per sostenerlo.