Automotive, paracadute europeo cercasi. Fiat e sindacati a lezione di… inglese

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 9 Novembre 2012 - 12:54 OLTRE 6 MESI FA
Automotive. La crisi europea, una lezione “inglese” (General Motors)

ROMA – Automotive europeo: il settore auto in crisi (di media ma non per tutti) trova una sponda nella Commissione Ue per il rilancio dell’auto puntando sui fondi della Bei (Banca europea degli investimenti). I nodi ormai si conoscono. 1) Sovracapacità produttiva per la crisi della domanda,  con gli impianti che hanno una capacità inutilizzata del 26% di media (quando l’80% di utilizzo è il punto di pareggio). 2) Sostegno alla forza lavoro colpita dalle inevitabili ristrutturazioni. “Non spetta a noi dire dovete o non dovete chiudere. Noi possiamo solo accompagnare le ristrutturazioni. E’ mio dovere impedire la fuga dell’industria automobilistica”:  le parole del Commissario all’Industria Antonio Tajani spiegano propositi e incertezze di un progetto che cerca di replicare quanto fatto 30 anni fa con l’industria siderurgica.

Attraverso agevolazioni e investimenti in tecnologia (da uno a 2 miliardi) ma stando ben attenti a non confondere l’intervento della mano pubblica con il rispetto del libero mercato. Senza contare che 30 anni fa la Commissione (Ceca) poteva contare su risorse autonome e maggiore capacità di manovra. I tedeschi, che ebbero già modo di scontrarsi con Marchionne (che da capo dell’associazione dei produttori parlò di bagni di sangue) non hanno gli stessi problemi e si oppongono. Il numero 1 di Volkswagen Winterkorn è chiarissimo: “Non capisco come si possano chiedere aiuti alla Ue per chiudere fabbriche quando se ne sono già ricevuti per tenerle aperte”. La Bei, in effetti, ha già prestato 14 miliardi in quattro anni. La congiuntura racconta che dal 2007 le vendite di auto in Europa sono scese da 15,960 milioni a 13,574 milioni nel 20111 (-15%). Parliamo di un settore che impiega 12 milioni di persone, 180 stabilimenti e un indotto di centinaia di migliaia di altri posti di lavoro.

La lezione inglese. Detto dei tedeschi, fa impressione il dato inglese: le immatricolazioni sono cresciute quest’anno dell’8% contro una media europea che cala del 10%. Proprio così, il Regno Unito del deserto manifatturiero post Thatcher,  delle dismissioni e dell’alienazione a padroni stranieri di tutti i marchi nazionali, potrà vantare nel 2012 di un surplus commerciale nell’auto per la prima volta dagli anni ’70. Il Sole 24 Ore (9 novembre) dedica un’inchiesta al caso inglese che accompagna il dossier auto: una lezione utile per Fiat e sindacati italiani, un promemoria su come recuperare spazi di mercato  senza chiudere impianti.

“Nuovi accordi sindacali, flessibilità e proprietà straniera”: così il quotidiano economico sintetizza la ricetta del successo dell’auto britannica (cioè prodotta in Gran Bretagna). E’ vero che la sterlina si è indebolita senza che l’Inghilterra venga considerata un paese a rischio e che il Governo è determinato a ricostruire un forte polo manifatturiero che bilanci il peso sproporzionato della finanza.  Ma la storia del recupero parte da un diverso approccio alle relazioni industriali.

Flessibilità. L’esempio GM e lo stabilimento di Ellesmere Port (la casa che ha trasformato la Rover di casa nella Vauxhall “americana”). Intese quadriennali, stipendi bloccati per due anni e altri due con copertura dall’inflazione. 51 settimane l’anno aggirando la pausa estiva. Lavoratori retribuiti sempre anche quando la produzione cala e stanno a casa in cambio di turni extra quando necessario senza oneri aggiuntivi. E’ stato concluso un accordo sui turni: 10 ore per 4 giorni, invece che 8 per 5. Il capo della Union che ha firmato gli accordi Tony Woodley nega che i diritti siano stati compressi. Accettando l’ottimizzazione della capacità produttiva ha favorito le assunzioni (700 addetti), cedendo sul patto previdenziale per i neoassunti e il congelamento delle retribuzioni ha ottenuto i premi legati all’introduzione del terzo turno.

Promesse di investimenti e vincoli. Ricordiamo tutti la promessa di Marchionne contenuta nel piano Fabbrica Italia: 20 miliardi sulla carta, poi il dietrofront, avendo nel frattempo raggiunto il discutibile scopo di spaccare il sindacato. Bene, in Inghilterra Tony Woodley va particolarmente fiero dell’accordo sottoscritto con General Motors: “Per la prima volta in questo Paese è stata firmata un’intesa pluriennale con valore legale: se la Gm la farà saltare dovrà indennizzare interamente ogni singolo lavoratore“.

Modelli vincenti e campioni nazionali. Alla base del successo dell’intesa Union-GM, al di là di ogni altra considerazione, Woodley confessa che il vero valore aggiunto è la bontà dei modelli. Il nuovo Evoque Land Rover va a ruba, piace e si vende senza sconti. Una verità lapalissiana, sembrerebbe: la Fiat in merito ha deciso invece di prendersi una pausa diciamo di riflessione. John Leech, responsabile automotive del gruppo Kpmg, punta il dito invece su un’altra verità rivelata: l’importanza del campione nazionale, da noi diremmo dell’italianità da conservare non importa a che prezzo. Per Leech quel prezzo conta eccome: “Sui campioni nazionali concordo con gli scettici: aiuta non averli perché affranca le imprese dalle pressioni dei Governi, lasciandole libere nella pianificazione di prodotti e strategie”.