Banca d’Italia: “Basta tasse”. Ma l'”austero” Draghi litiga con il Fmi

Pubblicato il 24 Aprile 2012 - 10:39 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Mentre descrive la caduta libera del risparmio delle famiglie italiane, “senza precedenti ma iniziata prima del biennio 2008/2009”, il presidente dell’Istat Giovannini ha lanciato l’allarme sulla sopravvivenza dell’istituto di statistica stesso, minacciato dai tagli che non consentiranno i requisiti minimi per formulare il bilancio. Miglior fotografia dello stato economico del Paese non poteva essere offerta: l’innalzamento del debito privato, in Italia storicamente basso, si congiunge alla stretta sui conti pubblici, con l’aggravio di una tassazione senza precedenti nella prospettiva storica e nel confronto con gli altri paesi. L’Istat finirà commissariata teme Giovannini, l’Italia di fatto un commissario ce l’ha alla presidenza del Consiglio.

Ma è proprio sulle scelte del Governo, obbligate vista la congiuntura, che si appunta la preoccupazione di chi per mestiere è incaricato di sorvegliare i conti pubblici. Quasi all’unisono, Corte dei Conti e Banca d’Italia puntano il dito contro gli eccessi del prelievo fiscale, oltre la soglia del 45% per il 2012 e i due anni successivi: un macigno che se da una parte si è frapposto alla frana del debito sovrano, dall’altra ostacola la crescita. La pressione fiscale, in breve, ha scongiurato il peggio ma ci precipita in recessione. La Banca d’Italia suggerisce una scadenza, gli aumenti delle tasse devono essere temporanei e il massimo sforzo va dedicato alla riduzione delle spesa. La Corte dei Conti ammonisce che nel 2013, l’anno del pareggio di bilancio, “l’effetto recessivo indotto dissolverebbe circa la metà dei 75 miliardi di correzione netta attribuiti alla manovra di riequilibrio”. Con il paradosso implicito di bruciare 37 miliardi.

I segnali di panico lanciati dalle borse europee, a causa della doppia volatilità dei mercati (fisiologica) e della politica (assente o confusa o in  fase di transizione in tutta Europa) non devono far dimenticare, però, che i rendimenti dei titoli italiani restano sostanzialmente in zona sicurezza. Tanto è successo da novembre a oggi, sia a livello europeo che nazionale, rispetto ai giorni in cui eravamo davvero l’epicentro di un rischio sistemico. Il panico di lunedì 23 aprile è stato un filo troppo enfatizzato, visto che già il martedì si deve, per fortuna, raccontare di un rimbalzo in Borsa.

Lo spread dei Btp rimane intorno a quota 400, i rendimenti dei titoli italiani sono ancora troppo alti soprattutto in vista degli obiettivi di bilancio. Ma l’asta di oggi sui Ctz, quale che sia il rendimento di assegnazione, non deve farci dimenticare che quella dello scorso novembre, quando il tasso del Ctz toccò il 7,814%: lo spread con il Ctz (il differenziale con il bund tedesco), il 25 novembre 2011 era di 715 punti, lunedì quella distanza superava appena i 300 sui titoli a due anni.

In questo momento l’Italia non è più sotto attacco ma, condividendo i destini dei suoi partner nell’euro, soffre un po’ per le notizie dalla Spagna, indietro negli obiettivi di bilancio e soprattutto gravata dal crollo e il deprezzamento del mercato immobiliare, con perdite nemmeno quantificabili del settore bancario, la disoccupazione al 23,6% e un’altra recessione in corso. Ora la preoccupazione, ai vertici più alti delle strutture sovranazionali, è che la probabile vittoria di Hollande in Francia sia percepita come l’annuncio di un cambio di rotta: Bce e Fmi sono divisi su questo punto, sul fatto che la cura da cavallo uccida il paziente o lo mantenga in vita.

Il deficit spagnolo, per esempio, dovrebbe scendere dall’8,5% al 3% di Pil in due anni. Christine Lagarde, alla guida del Fmi, non ci crede e per questo chiede ritmi meno serrati per concludere lo sforzo di risanamento confidando che alla Bce restino comunque dei margini di manovra. Mario Draghi, suo omologo alla Banca Centrale, invece, non crede agli effetti recessivi delle misure di austerità: teme, piuttosto, un pericoloso desiderio di rilassatezza nell’applicare con rigore le riforme. Dietro la contrapposizione di strategie c’è un duello sulle risorse: Lagarde chiede a Draghi di aiutare Madrid, Draghi approverà nuove iniezioni di liquidità solo in caso di assoluta necessità e solo a condizione che i governi rispettino fino in fondo gli impegni presi.

Il fiscal compact, lo spauracchio preso a simbolo di un rigore eccessivo e controproducente,  per Draghi va lasciato intatto, come vuole Angela Merkel. Il vento in Europa sta cambiando, forse alla Merkel resterà fedele solo Draghi nell’intransigenza sui vincoli di bilancio. Ma perché il vento cambi direzione bisognerà attendere non solo Hollande, ma le elezioni politiche italiane del dopo Monti e quelle tedesche a ottobre 2013. Ora è un po’ presto per l’auspicato “rompete le righe”. Con buona pace della Corte dei Conti, della Banca d’Italia e dell’Istat agonizzante.