Benzina: chi fa la cresta sul calo dei prezzi del petrolio

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Ottobre 2014 - 15:40 OLTRE 6 MESI FA
Benzina: chi fa la cresta sul calo dei prezzi del petrolio

Benzina: chi fa la cresta sul calo dei prezzi del petrolio (foto LaPresse)

ROMA – I conti non tornano. Il petrolio costa poco, pochissimo (al momento 81 dollari al barile quello americano, 86 quello del mare del Nord). Ma la benzina non scende di pari passo. Scende poco e niente, un centesimo al giorno. Roba inavvertibile. E allora il sospetto di automobilisti e non solo è che ci sia qualcuno che ci fa la cresta. Ovvero che si mangia quel margine. Perché margine c’è e lo spiegano gli stessi petrolieri: nel 2010 il prezzo del petrolio era uguale a oggi (spicciolo più, spicciolo meno) ma la benzina costava 29 centesimi di meno. Non un’inezia.

Il problema è che, ammesso che cresta ci sia davvero, è difficile in una filiera complessa come quella del petrolio, stabilire dove esattamente si annidi la cresta.  Gli attori principali sono due: i petrolieri e lo Stato. I primi vendono con margine, il secondo tassa. E fin qua tutto normale. I problemi sono altri. E la prima ambiguità dove nasce la cresta è quella che il Sole 24 Ore chiama la “doppia velocità”.  

Funziona così: quando si tratta di aggiornare i listini internazionali al ribasso avviene tutto con calma. Stessa cosa non succederebbe quando i listini si rivedono al rialzo. Tradotto: se il petrolio sale la benzina sale subito, se il petrolio scende la benzina scende tardi e poco. Accusa, questa, che chiama in causa i petrolieri. Va detto, però, che sul trucchetto della doppia velocità Antitrust ha indagato più volte senza mai cavare un ragno dal buco.

Decisamente più incisivo è il fronte fiscale. Perché Stato cresta la fa in forma di tasse. E visto che il 60% di quello che paghiamo di benzina non è carburante ma tasse è altrettanto chiaro che il ritocco al ribasso è assai meno percettibile.

Non solo. C’è un altro problema. Di cassa. Spiega Federico Rendina sul Sole 24 Ore:

Magari approfittando, ora come non mai, proprio dei cali delle quotazioni sui mercati internazionali, seppure con una piccola e assai blanda giustificazione: con la diminuzione del prezzo industriale diminuiscono in proporzione le entrate Iva, che al contrario delle accise sono in quota percentuale e non in cifra fissa rispetto al litro di carburante. Cosa che ha determinato da metà luglio ad oggi, a causa della diminuzione di circa 10 centesimi del prezzo industriale, quasi 70 milioni di entrate in meno per le casse dello Stato. Che naturalmente ritiene di doversi rifare, con cospicui interessi.

E lo Stato non solo non ha intenzione di rinunciare a quegli introiti. Ma rilancia. Anche nell’ultima legge di stabilità. Ancora Rendina:

Ecco così gli ultimi “regali” che vengono dalla legge di stabilità agli articoli 44 e 45, che dispongono un ulteriore aumento della tassazione sotto forma di clausole di salvaguardia, con un aumento programmato delle accise ma anche dell’Iva sui carburanti al 2018 che vale 700 milioni l’anno. A cui si somma come ulteriore clausola di salvaguardia aggiuntiva, se la prima manovra non dovesse rivelarsi sufficiente, un ulteriore aumento delle accise per quasi un miliardo di euro già nel 2015.

I petrolieri, che verginelle sprovvedute non sono, hanno gioco facile nel mostrare le cifre. Nel 2010 il petrolio costava al barile più o meno quanto oggi. La benzina alla pompa costava però 29 centesimi in meno. Di questi 25 sono dovuti all’aumento delle tasse, 4 al cambio. Cresta, insomma, forse no. Accanimento fiscale su petrolio e derivati certamente sì.

Il Sole 24 Ore: come nasce il prezzo di un litro di benzina