Le lenticchie di Bersani

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 25 Marzo 2011 - 13:57 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Da qualche parte nella Bibbia ci deve essere la storia, in qualche modo eterna e fuori dal tempo, dell’incauto e frettoloso che perse il suo ereditario diritto alla primogenitura per un piatto di lenticchie. Nella cronaca politica contemporanea d’Italia un “diritto” dell’opposizione ad ereditare la guida del paese si fa fatica a trovarlo, come pure una “primogenitura” del Pd al riguardo. Dovrebbe essere così nelle costanti della politica, non proprio leggi scientifiche ma “costanti” conseguenze sì. Dovrebbe essere, ma in Italia non è e perché non sia è lungo discorso…Però le lenticchie si vedono eccome, le lenticchie di Bersani e il piatto di lenticchie in cui regolarmente si perde il Pd.

Partito democratico che con un voto di astensione ha sostanzialmente detto sì al federalismo fiscale regionale. Quello regionale arriva insieme a quello provinciale e dopo quello comunale. Tutti e tre compongono un passaggio al federalismo fiscale storto e sbilenco. Così come è scritto e come in parte e in sostanziale silenzio si sta già attuando, il federalismo fiscale non garantisce e neanche cerca reali diminuzioni di spesa pubblica e aumenta e di molto le tasse “di territorio”. Addizionali Irpef nei Comuni, da subito e fino al 2015 in progressione, addizionali Irpef nelle Regioni, dal 2013 e a crescere fino al 2015, aumento della quota fiscale che le province prelevano sulla Rca auto, insomma sull’assicurazione obbligatoria, tasse di scopo, tassa sul turismo…La sostanza è che i governi locali ottengono il sacrosanto diritto di finanziarsi con tasse locali ma non contraggono l’obbligo di frenare la spesa locale. Un albero così storto e sbilenco la Lega vuole piantarlo comunque. Per non dare al suo elettorato l’impressione di essere un “giardiniere del nulla” e suggerendo al suo elettorato che, quando ci sarà il federalismo fiscale, il Nord saprà scangiarsi dai guai del Sud. La Lega lo vuole, anche se sa che è storto, poi penserà lei a raddrizzarlo, almeno dove comanda. Il Pdl di Berlusconi fa quel che dice la Lega, ovunque, perfino sulla Libia, figurarsi sul federalismo.

E il Pd? Chiede lenticchie e ci infila dentro soddisfatto il cucchiaio. Niente meccanismi di blocco della spesa pubblica e nuove tasse sul territorio mettono in gioco, riguardano e modificano gli assetti di bilancio nazionali: decine e centinaia di miliardi di euro e gli stessi connotati della stabilità finanziaria del paese, senza considerare milioni e milioni di voti “sensibili”. Quindi cosa fa il Pd? Si affida alla “sensibilità” dei suoi amministratori locali che, per ruolo e cultura, guardano corto, molto corto. Chiedono a Tremonti 425 milioni di euro per il trasporto pubblico locale. Chiedono e ottengono. Chiedono che dalle nuove tasse siano esentati quelli che dichiarano di guadagnare meno di 15mila euro l’anno. Chiedono e ottengono. Chiedono e ottengono soprattutto che se nel biennio 2013/2015 una Regione non ce l’ha fatta o non ce l’ha voluta fare a ridurre la spesa. allora intervenga a spendere il portafoglio nazionale dello Stato centrale. Un po’ di milioni per tenere in piedi un servizio sociale, quello dei trasporti, che “trasporta” però anche aziende pubbliche e semi pubbliche che imbarcano spreco, deficit, inefficienza e corporazioni più o meno sindacali. Una esenzione per fascia di reddito bassissima che serve soprattutto a chi mente al fisco nella dichiarazione dei redditi e la garanzia che lo Stato centrale pagherà sempre i debiti dei governi locali insolventi, caso mai con nuove tasse. E’ proprio un piatto di lenticchie e neanche di quelle ben cucinate. In cambio il Pd dà copertura all’aumento delle tasse che dovrebbe andare in carico a Berlusconi, quello del “non metteremo le mani in tasca agli italiani”. Si colloca in imbarazzante posizione rispetto all’elettorato nordista quando questo scoprirà che il federalismo fiscale ha un prezzo e non è gratis. Copre ogni centro di spesa, anche quelli “merdionali” giudicandoli di fatto irriformabili. Confonde e mescola la difesa dei servizi sociali con la difesa delle corporazioni sociali e politiche che ci lavorano in perdita strutturale ed eterna per la collettività.

Un caso, un errore forzato, uno stato di necessità? No, una cultura, un’abitudine. Con molta cattiveria, quasi ferocia e sostanziale disprezzo il governo (Tremonti?) ha additato al pubblico ludibrio e linciaggio d’opinione la “cultura dei cinematografari”. Far sapere al paese che i soldi al Fus, al Fondo Spettacoli, li pagano i cittadini al distributore con l’aumento del prezzo della benzina è esporre “cinematografari e dintorni” alla gogna. Non è stato fatto per caso. E il Pd cosa fa? Reagisce con forza, ricorda al governo e spiattella al paese che il governo ha già incassato da quando il prezzo del petrolio è cresciuto 400 milioni in più di accise, cioè di tasse sulla benzina? Esige che i 150/200 milioni per la cultura vengano da lì, da quanto il governo si è già messo in tasca? Rifiuta in ogni sede, parlamentare, di piazza, sindacale che i soldi alla cultura vengano “timbrati” e marchiati a fuoco da uno dei più odiosi e impopolari balzelli? No, fa festa e sospira di sollievo. Gli viene lanciata una polpetta avvelenata, dove il veleno è tanto perfido quanto evidente e il Pd, invece di rigettarla via, la coglie al volo e se la colloca nel piatto. Lenticchie e pure avvelenate. E il Pd e la sua gente, pure e per prima quella di cultura, scodinzolano. Con annesso dibattito se sia meglio agitare la coda un po’ verso destra o a sinistra o tenerla vibrante al centro.