Borse: si vende nel panico. Il peggio dal 2011

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Agosto 2015 - 14:18 OLTRE 6 MESI FA
Borse: si vende nel panico. Il peggio dal 2011

Borse: si vende nel panico. Il peggio dal 2011

ROMA – A Milano la “sindrome cinese” ha fatto chiudere la Borsa con un tonfo: meno 5,95% dopo aver toccato anche il meno 7. Ma è così in tutta Europa, in tutto il mondo. Con le Borse che in alcuni casi hanno perso anche fino all’8%. La Borsa di Atene, coinvolta nella tempesta che ha colpito i mercati mondiali, ha ceduto il 10,5% finale. Male anche i titoli di Stato. In Giappone, vicino alla Cina che ha innescato questo terremoto finanziario, l’indice Nikkei di Tokyo ha chiuso in flessione del 4,61%. La Borsa di Shanghai ha lasciato sul terreno l’8,5%, azzerando tutti i guadagni del 2015. Male ovviamente anche tutte le altre Borse asiatiche.

E il 2011, l’estate 2011, la ricordate? Dopo quell’estate venne l’Imu sulla prima casa, venne la legge Fornero, venne il più del milione di posti di lavoro perduti. Nell’estate del 2011 i mercati finanziari, le Borse, insomma che investe denaro nell’economia, furono presi dal panico e cominciarono a vendere, vendere, vendere…E il panico si allargò rapidamente come fuoco alla paglia.

Si allargò alla politica, ai governi, alle leggi di bilancio. Il panico da vendita bruciò la pelle dei contribuenti ma non ustionò definitivamente le economie solo perché le banche centrali Usa ed Europea fecero argine, si misero prima l’una, di recente l’altra a stampare denaro. Ma, appunto, l’hanno già fatto. Alle 14 del pomeriggio del 24 agosto 2015, l’indice composito delle piazze finanziarie europee segnalava in una sola giornata meno 5,3%. Il peggio dall’estate 2011.

Il peggio da allora e il nuovo panico. Allora, nel 2001, fu panico dalla possibilità che governi e paesi dell’area euro non fossero in grado di ripagare i debiti pubblici contatti. Ora il panico deriva dal sospetto che la Cina stia smettendo di essere il grande compratore mondiale delle materie prime (e questo colpisce Australia, Brasile Sudafrica…) e stia smettendo di essere anche il grande compratore di alta tecnologia (e questo colpisce Germania, Usa, Francia…). Se la Cina non compra più a chi si venderà la Bmw costruita in Germania, a chi vendere l’alluminio o il rame?

Se la Cina compra meno il mondo dovrà produrre meno. E la fermata cinese farà presto ad arrivare sotto forma di un contratto aziendale o nazionale o della Pubblica Amministrazione non rinnovato, sotto forma di ancor minore occupazione, sotto forma di sgravi fiscali ancora rimandati a meno di non cambiare i connotati alla spesa pubblica.

Spesa pubblica italiana che nei tre anni dal 2012 al 2014, in teoria gli anni dei “tagli” da tutti denunciati, è invece aumentata da 821 a 838 miliardi. L’ultima in materia è la scoperta della Corte dei Conti e della Corte Costituzionale per cui molte Regioni hanno usato, dirottato i miliardi (36) ricevuti per pagare i debiti con le aziende. Li hanno dirottati altrove, alla loro spesa. Le Regioni, là dove maggiore è in proporzione la pressione fiscale sui cittadini. Là dove si alleva e si esercita la peggior classe politica, fatta solo di distributori di soldi pubblici. Là dove i partiti si sono fusi con le lobby di territorio. Là dove i servizi sociali decadono e la spesa aumenta. Forse bisognerebbe abolirle le Regioni. Altrimenti il mondo, il pianeta che vira la sua economia ci verrà addosso mentre noi tentiamo di nuotare con ai piedi la palla di piombo della probabilmente peggior spesa pubblica e cosa pubblica dell’occidente: le Regioni.