Nucleare: la Germania chiude centrali e spinge a tutta forza sulle rinnovabili. Italia in pausa di riflessione

di Dini Casali
Pubblicato il 15 Aprile 2011 - 12:40 OLTRE 6 MESI FA

(foto Ap/ Lapresse)

ROMA – Fukushima ha cambiato le carte in tavola. L’opinione pubblica mondiale è rimasta choccata dal disastro giapponese, il partito “no nukes”, dato per morto, è di nuovo sulla breccia, i paladini dell’atomo balbettano. Tuttavia, pur all’interno di una cornice di emotività e fatti salvi il principio di precauzione, la sicurezza ambientale ecc., il tema dell’approvvigionamento energetico rimane sullo sfondo, resta sottotraccia, gentilmente ignorato come una zia noiosa a un matrimonio. Eppure, il modo come daremo energia alle nostre industrie, riscalderemo le case, procureremo un po’ di ristoro dalle calure estive, insomma tutto il nostro invidiato “tenore di vita”, è il tema dei temi, la sfida cruciale. Atomo, petrolio, gas, oppure vento, sole, acqua, oppure ancora il vecchio carbone, su cosa punteremo, cos’altro ci inventeremo?

Un metodo utile per valutare i diversi approcci dei governi rispetto alla questione energetica,  può essere il confronto tra l’Italia e la Germania. Ancora con il modello tedesco, si dirà. E’ vero, un abisso di cultura imprenditoriale e di senso dello Stato ci separa dai nostri amici campioni di organizzazione. Ma i governi vanno giudicati sulle misure concrete messe in campo e sulla capacità di vedere un po’ più in là di domani. Possedere una “vision” si diceva una volta.

Ebbene, dalla Germania è arrivata una risposta netta: “Avanti tutta sulle energie rinnovabili”. Entro giugno sarà avviato il nuovo piano che valorizzerà solare, eolico e centrali a gas. Angela Merkel, pur scontentando i ricchi donatori delle lobby industriali, ha messo in naftalina il nucleare. Subito dopo Fukushima era stata decisa la chiusura immediata per quasi la metà degli impianti, controlli a tappeto per tre mesi  con la certezza che qualcuno verrà chiuso definitivamente senza nemmeno aspettare il risultato dei check test. E’ stata una scelta dolorosa: la Merkel, in ossequio ai suoi grandi elettori pro-business e grandi fautori del nucleare, aveva esteso al 2030 la legge dell’amministrazione precedente di sinistra che imponeva la dead-line per i reattori al 2022. Ma l’ennesima giravolta non le ha portato fortuna, visto dopo 58 anni di dominio incontrastato dei Cristiano Democratici, nel Baden-Wuttenberg, cuore dell’industria tedesca, i Verdi si sono imposti trionfalmente.

Giravolte opportunistiche, ripensamenti tardivi? Piuttosto calcoli elettorali sbagliati ma contingenti. La Germania punta decisa allo sviluppo di energie rinnovabili dagli anni ’90: una scelta irreversibile. E legata indissolubilmente all’obiettivo permanente della crescita: i piccoli produttori renani sono 20 anni che implementano tecnologie all’avanguardia per consentire questo passaggio. Si sono concentrati sui sistemi per rendere più efficiente la produzione di energia. Per abbassare drasticamente il consumo energetico necessario a produrre altra energia. Per garantire che i nuovi motori contenessero le perdite energetiche. Insomma sviluppo e ambiente, alta tecnologia e qualità dell’aria, business e sicurezza ambientale. Attualmente in Germania l’energia nucleare rappresenta il 22% dell’elettricità prodotta, rispetto al 16% proveniente dalle energie rinnovabili. La domanda d’obbligo è se un paese manifatturiero come la Germania possa a fare a meno del nucleare. Alcuni settori produttivi, tra gli altri la meccanica, la chimica e la siderurgica, si sono detti preoccupati dai costi associati a un eventuale aumento delle rinnovabili. Il Frahunofer Institut sostiene che abbandonare il nucleare richiederebbe investimenti per 245 miliardi di euro. Tuttavia governi di destra o di sinistra non spostano l’opzione di fondo ma supportano i costi della ricerca, defiscalizzano gli investimenti.

Soprattutto, in Germania, non scaricano all’esterno (crisi mondiale, globalizzazione, Gheddafi, tsunami giapponesi…) l’impasse decisionale sull’approvvigionamento energetico. In Italia siamo alla pausa di riflessione. Come un amante che ci ha ripensato e maschera così l’imbarazzo di dare un taglio alla relazione, l’Italia non sa come dire a se stessa che la passione recente per il nucleare è stato un breve flirt. Secondo il ministro dell’Economia Tremonti esiste un debito pubblico e un debito privato, ma c’è anche un debito nucleare, ossia i costi che i Paesi che hanno l’atomo come fonte energetica sostengono, per il cosiddetto “decommissioning”, cioè, per smaltire le centrali atomiche. Una “cambiale atomica” la chiama. Affascinante la teoria, ma ha il vizio dell’alibi: non facciamo niente se anche gli altri paesi non si muovono. Ma che tipo di debito è quello contratto dal nostro Paese quando in vaste aree non è capace di smaltire nemmeno i rifiuti normali, la “monnezza” per capirci. Smaltire la monnezza atomica è ancora più difficile, ma proprio lì, nello scarto tecnologico sta la chiave della crescita. Chi prima l’affronta e lo risolve, vince la partita per il futuro prossimo. Parlare di finanziamenti alla ricerca in Italia è imbarazzante. Il nostro contributo alla definizione di un serio piano energetico è fermo a una moratoria sulle centrali nucleari. Una moratoria su qualcosa che gli italiani non volevano e che (specie dopo Fukushima) non vorranno mai.